Allievo di Hegel, Rötscher riconosce, come il suo maestro, un alto livello artistico all’attore, istruendolo ad una sintesi dialettica fra ragione e sentimento
Anche un filosofo del calibro di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 – 1831) si interessò dell’arte e del “fenomeno” dell’attore nelle sue “Vorlesungen über die Ästhetik” (Lezioni sull’estetica), tenute nel semestre invernale del 1820/21 all’università di Berlino. Hegel sottolinea come ormai il mestiere dell’attore sia entrato di diritto nel novero dell’arte e che la professione non porti più con sé alcuna connotazione negativa. Hegel rivaluta il tanto vituperato mestiere in quanto, a suo vedere, l’attore è il mezzo attraverso il quale la poesia del dramma prende forma, pertanto egli ha in sé l’alto compito di essere tramite fra il poeta e l’uditorio.
Fra gli studenti di quel semestre figurava anche Heinrich Theodor Rötscher (1802 – 1871), che in seguito lavorerà a Berlino come pubblicista, critico e insegnante di teatro. Le lezioni di Hegel dovettero esercitare una forte influenza sull’allievo, tanto che Rötscher approfondirà la questione della tecnica e dell’identità dell’attore formulando un sistema filosofico volto a categorizzare e regolamentare sistematicamente le prestazioni di chi è chiamato ad agire sulla scena. Il sistema, in tre volumi, uscirà nel 1841, 1844 e 1846 e avrà il titolo di “Arte della rappresentazione drammatica” (Kunst der dramatischen Darstellung)
Fedele alla dialettica del suo maestro, Rötscher, supererà definitivamente la annosa contrapposizione fra attore di ragione e attore di sentimento, per arrivare nel suo sistema a richiedere all’attore di integrare i due opposti, di farli convivere nella visione dialettica, per attingere ad un terzo e superiore gradino dell’espressione e dell’arte: la sintesi fra natura e ragione. Tutto il metodo si basa infatti su una sintesi dialettica fra sentimento (natura) e riflessione (arte) che porta all’accadimento artistico (riconciliazione fra natura e arte).
“Solo in questo caso l’interprete si trova veramente sul terreno dell’arte, la cui soglia oltrepassa nel momento in cui non si diletta semplicemente di recitare sé stesso, ma quando si impegna a diventare l’oggetto di una totalità artistica. Da questo punto di partenza si può dunque sviluppare il sostanziale lavoro della tecnica. Questa è infatti solo possibile nel momento in cui l’attore piega la sua particolare individualità per diventare lo strumento atto ad una rappresentazione umana ideale.” (L’arte della rappresentazione drammatica – parte seconda)
L’impostazione prettamente filosofica del trattato di Rötscher non mancò di suscitare numerose critiche, in particolare per il carattere prevalentemente teorico dell’assunto ideale. Questo portò Rötscher a interessarsi praticamente della costruzione del carattere, tanto da pubblicare un tascabile, “Lo sviluppo del carattere drammatico” (Entwicklung dramatischer Charaktere), con numerosi consigli pratici su come interpretare i grandi ruoli del repertorio classico.
Resta il fatto che il trattato di Rötscher eleva l’attore da mestierante ad artista, nobilitandone certo il compito, ma anche costringendolo a non limitarsi alla pura rappresentazione, bensì all’analisi e all’interpretazione approfondita dell’opera d’arte che si va a rappresentare. “L’arte della rappresentazione drammatica, come realizzazione della più alta creazione poetica, ha come sua materia l’intera personalità dell’uomo…” (L’arte della rappresentazione drammatica – parte generale)
L’attore diviene dunque l’oggetto di un tutt’uno artistico, fatto di fisicità piegata alla tecnica rappresentativa e ideale. Egli deve plasmare la propria individualità a strumento per formare una rappresentazione umana ideale. La tecnica serve a questo, a possedere la libertà e il controllo per poter giungere al “secondo e più alto compito, la penetrazione dell’opera d’arte poetica…”
Rötscher riversa sull’attore l’altissimo compito di leggere e interpretare correttamente l’opera d’arte, attingendo alla sintesi dialettica fra natura e intelletto. Chiede insomma all’attore di “…sentire e non sentire, lasciarsi andare all’entusiasmo e tuttavia restare riflessivo. Questi, non alternati ma costantemente compenetrati contrari, costituiscono la vita interiore dell’artista drammatico e la loro conciliazione è il suo proprio atto creativo”. (L’arte della rappresentazione drammatica – parte terza) Atto creativo che priva definitivamente l’attore della prassi rassicurante di un mestiere tradizionale, imparato a bottega, per elevarlo all’impegnativo rango dell’arte. Forse era chiedere troppo all’attore di inizio ottocento.
L’opera di Rötscher ebbe grande eco fra gli addetti ai lavori, nobilitando l’arte dell’attore, ma anche ponendolo di fronte ad un compito immane, troppo grande per lui. Non è dunque un caso che due decenni dopo in Germania nascerà, con la compagnia del Duca di Meiningen, una moderna concezione del teatro basata sull’ensemble, una prassi esecutiva innovativa, e, in nuce, una nuova figura che prenderà su di sé il carico dell’interpretazione artistica del testo poetico: il regista.
Raffaello Malesci