Recensioni - Teatro

Londra: meraviglioso Garcia Lorca al National Theatre

Sontuosa e accurata messa in scena de La Casa di Bernarda Alba

Grande serata di teatro al National Theatre di Londra con La Casa di Bernarda Alba (The House of Bernarda Alba) nella versione inglese di Alice Birch. A dirigere la compagine del teatro nazionale britannico la regista Rebecca Frecknall coadiuvata per scene e costumi da Merle Hensel.

Alice Birch distilla un adattamento contemporaneo dell’ultimo dramma di Federico Garcia Lorca, elaborando una traduzione inglese al tempo stesso fedele e aggiornata, che permette al dramma di parlare alla contemporaneità. L’adattamento poi si spinge a rendere protagonista la “casa” in cui, complice la splendida e imponente scenografia, parlano contemporaneamente varie voci, intersecandosi dalle diverse stanze, tutte visibili, in quello che è un’imponente prigione. La Birch, insieme alla regista, cerca di rendere palpabile il sovrapporsi delle anime tormentate che vivono nella casa di Bernarda Alba e che si trovano rinchiuse nelle loro stanze, alternando le battute in una sinfonia complessiva di grande struttura drammaturgica.

La casa è anche protagonista dell’imponente scenografia, che riproduce un palazzo a tre piani con tutte le stanze e anche il cortile. Una specie di alveare che è una prigione dai muri di vetro, in cui tutto si sente e tutto si vede. Le porte e le pareti sono di carta velina e permettono al pubblico di scrutare oltre le divisioni fisiche, di penetrare nell’intimità dei personaggi. La casa stessa inoltre, in cui Bernarda cerca di rinchiudere le figlie dopo la morte del marito, diventa un acquario trasparente che lascia passare i suoni dell’esterno e soffoca le protagoniste senza dare una sensazione di protezione.

Un piccolo capolavoro di collaborazione fra intenti registici, drammaturgia, costumi e scenografia, in cui quest’ultima non è solo mero decoro ma motore simbolico della messa in scena.

Tesa, coinvolgente ed emozionante la recitazione, millimetrica nella precisione, iconica nei silenzi, pregnante nei suoni che giungono da fuori e che scandiscono la vita da recluse delle figlie di Bernarda Alba. Gli stessi suoni lontani che ritroviamo in Cechov, in tante opere di Puccini e che scandiscono la drammaturgia naturalistica di inizio novecento, ma che in Garcia Lorca non sono mero richiamo naturale: ma palpiti e desideri, proiezioni dei personaggi, così come l’insistente scalciare contro il muro dello stallone nel terzo atto.

Rebecca Frecknall è attentissima ad ogni particolare e nulla si perde nel corso della pièce, tanto che le soluzioni registiche sono sempre limpide, pratiche ed evocative. Pepe Romano è la figura puramente fisica di un ballerino, che a volte irrompe nella casa, si trova sotto il tavolo da pranzo: è l’icona perfetta dell’ossessione. La Madre di Bernarda Maria Josefa è sempre visibile nella sua stanza, è l’unica che può vestirsi di indumenti colorati ed è l’unica che può parlare liberamente di matrimonio, di figli e può permettersi di rivelare con le parole un desiderio e un immaginario sessuale che traspira represso in tutti gli altri personaggi. Non si ha paura di lasciare agire anche l’ironia, di far ridere il pubblico qua e là, dando libero sfogo e contraltare ironico al superbo personaggio della Poncia, la serva di casa. Superbo poi il finale del primo atto in cui il racconto del linciaggio di una ragazza del villaggio, colpevole di aver avuto un figlio fuori dal matrimonio, irrompe in tutta la sua crudele realtà nella casa con una magistrale scena mimica in cui tutto il paese, capeggiato dalla stessa Bernarda Alba, si avventa sulla povera ragazza.

La tensione cresce in modo spasmodico nel corso del secondo atto, la tragedia diventa inevitabile e Adele, la figlia più piccola, rivela di essere innamorata di Pepe Romano che invece è promesso alla sorella maggiore Angustia, l’unica a cui il padre ha lasciato una dote. Adele vede di nascosto l’uomo e viene tradita dalla sorella Martirio, anch’essa innamorata di lui. La situazione precipita e la madre Bernarda imbraccia il fucile e spara verso Pepe che fugge senza colpirlo. Martirio però rivela alla disperata Adele che Pepe è stato ucciso. Adele allora si impicca nella propria camera. Quando ne scoprono il cadavere la madre Bernarda intima il silenzio e impone di dire in paese che la figlia di Bernarda Alba è morta vergine.

Grande tensione nel finale, perfetto, concitato, violento, con l’impiccagione in scena della figlia Adele. Peccato solo l’eccesso di partecipazione al rinvenimento del cadavere da parte di Bernarda. In questo modo la regista umanizza troppo il personaggio che in realtà dovrebbe, negli intenti di Lorca, rimanere freddo e impassibile. Un peccato veniale in ogni modo.

Inarrivabile tutto il numeroso cast, perfetto dalla protagonista fino all’ultimo mimo in un lavoro di ensemble che, bisogna a malincuore dirlo, in Italia non è più dato di vedere e nella situazione attuale del nostro teatro è oggettivamente impossibile. La riflessione è amara, ma inevitabile: il teatro è nato in Italia, ma prosegue altrove. E in questo altrove senza il supporto di microfoni!

Harriet Walter è una Bernarda perfetta, misurata, naturale: non eccede mai nel tragico, ha il ritmo delle convinzioni granitiche, gli sguardi da matriarca, la compostezza dell’invasata. Al suo fianco la Poncia di Thusitha Jayasundera, una serva credibilissima, che vede la tragedia arrivare ed esprime con accenti misurati il suo rammarico, la sua sofferenza. Il suo incedere stanco, di colei che risparmia le forze in un duro lavoro quotidiano, concorre più d’ogni altra cosa a dare la verità della casa, il realismo che scaturisce dalla semplicità di gesti asciutti e studiati. Entrambe le attrici hanno poi un magnetismo innato che concorre a fare delle loro scene dei piccoli capolavori. Ottime anche tutte le cinque figlie di Bernarda, sui cui spicca la Adele di Isis Hainsworth, febbrile e impulsiva come una tigre in gabbia, piena di quella disperazione giovanile infusa dall’amore. Superlative nell’insieme anche Pearl Chanda, una Maddalena moderna e volitiva; Rosalind Eleazar, una Angustias remissiva e dolente; Eliot Salt una Amelia infantile e ingenua; Lizzie Annis, una Martirio complessata e disperata, affetta da una zoppia fisica perfettamente riprodotta. Maria Josefa era Eileen Nicholas, perfettamente e volutamente sopra le righe.

Una menzione per tutti gli altri componenti dell’ensemble vero protagonista nel complesso della serata: Bryony Hannah, Catharine Humphrys, Asha Kingsley, Marcia Lecky, James McHugh, Michael Naylor, Celia Nelson, Ellouise Shakespeare-Hart, Georgia Silver, Imogen Mackie Walker, Charlotte Workman.

National Theatre esaurito e giubilo nel finale.

Raffaello Malesci (Giovedì 4 Gennaio 2024)