Recensioni - Teatro

Milano: Che Favola, questa Mrs. Fairytale

Mrs. Fairytale, di e con Filippo Timi, è una produzione del Teatro Parenti di Milano che ha registrato il tutto esaurito dal 30 dicembre al 14 gennaio (il 13 e il 14 lo spettacolo è stato proposto anche in uno dei quei rari streaming che non delude) e che ora il teatro comunica l’aggiunta di nuove date, dal 18 a domenica 23 gennaio. Si direbbe un successo: a merito unanime lo è.

Il personaggio, o meglio, la maschera di Favola creata dall’eclettico attore perugino era già approdata sul grande schermo nel 2018 nel film omonimo tratto dal libro scritto da Timi stesso nel 2013. A teatro, questa la rilettura mette al centro Favola, una casalinga disperata di mezza età molto States immersa nel tumulto degli Anni Cinquanta del Novecento, togliendo dalla scena la compagna signora Emerald, a raccontare gli scampoli della sua vita di donna/uomo (davvero importa?) di individuo abbandonato a Capodanno che ha vissuto prima dell’abbandono un’esistenza costellata di alienazione e di solitudine, e che ha creato attorno a sé un mondo delle meraviglie non proprio meravigliose che riempie la vita.

La scena ideata da Filippo Timi è ambientata in un salotto di quelli disabitati, tutti cristallerie, tavolinetti, pouf e divani da sempre e forse per sempre incellofanati. Un uomo con un impermeabile in cellophane sta seduto sul divano, il giornale aperto sul volto, e si animerà solo a tre quarti dello spettacolo, rivelando la sua anima bella e triste di uomo invisibile ferito da un crocifisso (Emiliano Coltorti, che dal 18 al 23 gennaio sarà sostituito da Federico Rubino). Una cagnolina impagliata, una sorta di nume tutelare della casa, è l’interlocutore privilegiato delle passeggiate funamboliche della fantasia di Favola, che le parla con tristezza di uomini in fuga come le muggisce, mimandole, le storie di bovini del Montana in astinenza da Coca-Cola. Lo spazio e il tempo sono totalmente riempiti dalle favole di Mrs.Fairytale, ma è il vuoto quello che parla più forte.

Timi-Favola entra in scena con un fucile e si spara in bocca, lo farà più volte nel corso del suo racconto e anche nel finale che non sveliamo, con fucilate a cilecca: le favole vere conoscono e narrano anche il dolore. I costumi, creati da Fabio Zambernardi, e l’ambientazione parlano di anni Cinquanta ma il personaggio che man mano si presenta in realtà non ha tempo, esiste da epoche immemori. Favola indossa una gonnellona a ruota e sopra la ingabbia un corpetto da supereroe/eroina che stringe e costringe; immancabile la presenza del telefono col filo che si attorciglia tra le gambe — Favola cerca compagnia componendo numeri a caso e nascono siparietti in cui Timi tira fuori dal cilindro il meglio della sua arte comica ed espressiva, e si diverte col pubblico — parte delle musiche e anche dei filmati che scorrono sulle pareti di casa inframezzano cartoni animati di disneyana memoria e immagini di una America puritana che evocano in sottotraccia violenze, contrasti sociali e disuguaglianze, ma fa la sua apparizione anche un’invettiva contro un Senato che non vota una legge imperfetta ma necessaria che mette i brividi. Nell’ultima parte della pièce la parrucca con la messa in piega con le punte all’insù scompare, ma lo spettacolo en travesti è già dimenticato da un pezzo. Il ricongiungimento di Favola con la parte di sé rappresentata dall’uomo invisibile, anche lui ferito ma buono e quieto e accogliente, è suggellato come nelle migliori favole da un bacio. Scelofanalo! È l’esortazione che Timi, sempre più istrionico, rivolge al pubblico dal palco, e il messaggio esce dall’ambiguità e va a segno.

Grandi risate e a tratti un groppo in gola, il racconto di una storia che fa riflettere e un incanto che fatica ad andarsene: Mrs. Fairytale è grande teatro.