Recensioni - Teatro

Milano: La Tempesta di Serra affascina il Teatro Strehler

Profonde riflessioni e scenografie di grande suggestione nell'allestimento del penultimo testo shakespeariano

Homo sum, humani nihil a me alienum puto. Poche parole per delineare il più profondo significato dell’esistenza. Noi siamo uomini, condividiamo le stesse realtà, partecipiamo agli stessi eventi, viviamo lo stesso mondo, eppure eppure osserviamo un’immagine del mondo differente e ognuno, nello scrivere la propria storia, contribuisce all’arricchimento di quella dell’intera umanità. Ciascuno ha i propri sogni, i propri obiettivi, la propria vita ed è proprio in virtù di questo che è in grado di immedesimarsi e prevedere le azioni altrui. Alcuni, però, pur di concretizzare le proprie ambizioni, non si fermano di fronte a nulla e sono disposti a combattere una vera e propria lotta per la sopravvivenza, facendo, invece, valere la legge dell’homo homini lupus. Nel momento in cui accade questo, si origina una catena infinita di torti, una successione interminabile di vendette che forse non avrà mai fine.

È proprio la vendetta il principale tema de La Tempesta, capolavoro shakespeariano ripreso e adattato da Alessandro Serra (responsabile di regia, luci, suoni, costumi), andata in scena presso il Teatro Strehler di Milano (produzione Teatro Stabile di Torino, Teatro Nazionale, Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro ERT, Teatro Nazionale, Sardegna Teatro, Festivak d’Avignon, MA scène nationale, Pays de Montbéliard, in collaborazione con Fondazione i Teatri Reggio Emilia, Compagnia Teatropersona)

In un mondo di dolore, sofferenze, cattiverie c’è posto anche per la vendetta? Rispondere ad un torto con un altro torto è la strada giusta da seguire? Oppure è meglio comprendere gli errori commessi e cedere al perdono? Queste le domande alla base dell’opera, una vicenda di incastri, di intrecci, una rappresentazione all’insegna di cambiamenti repentini di toni, comportamenti ed emozioni, uno spettacolo che indaga l’animo umano e i suoi sentimenti, assumendo differenti punti di vista.

La storia è dominata essenzialmente da due elementi ossimorici: lotta e amore. La lotta vede come protagonista Prospero, un uomo che, privato dal fratello del titolo di duca di Milano, decide di vendicarsi, scatenando una terribile tempesta per colpire l’usurpatore delle proprie fortune, sfruttando  sia le proprie abilità magiche sia l’aiuto di uno spiritello, Ariel. Lo stesso Prospero è rimasto coinvolto nel naufragio e, salvatosi, ha raggiunto un’isoletta abitata dal solo Calibano: contro di esso inizierà un’ulteriore lotta per il possesso dell’isola. Questi scontri lasciano, tuttavia, spazio anche ad una storia d’amore, quella nata tra Miranda, figlia di Prospero, e Ferdinando, figlio del re di Napoli (altro uomo coinvolto nel naufragio).

Il palco è spoglio, non vuoto. La scenografia, nella sua estrema semplicità, è costante fonte di stupore. Le scene prendono vita davanti agli occhi dello spettatore, proprio come se fossero quadri creati dal delicato tocco di un pennello costituito dalle luci. Il palco infatti è privo delle consuete strutture sceniche: gli ambienti e i cambi di scena sono tutti realizzati attraverso elegantissimi giochi di luce che costruiscono lo spettacolo dai primi istanti fino alla conclusione.

Il sipario si apre, tutto è nero, tutto è calmo. Si intravede una figura distesa sul pavimento, è Ariel. Improvvisamente, il silenzio viene rotto da una musica ritmica e vibrante: il suono della tempesta avvolge l’intero teatro e, soprattutto, travolge Ariel. Sul palco, infatti, prendono forma le onde del mare in burrasca grazie all’utilizzo di un leggerissimo velatino che costringe Ariel ad eseguire una danza incessante e totalizzante.

Innovazione, semplicità, dinamismo e cura del dettaglio sono gli ingredienti perfetti per una scenografia, come questa, che oltrepassa le barriere del palco. Frequente, infatti, è l’utilizzo del fumo che, oltre ad incrementare la già presente aura di mistero, colma e, addirittura, conferisce ampissimo volume alle scene.

Ed è proprio il susseguirsi delle scene a raccontare, passo dopo passo, una storia all’insegna di contrasti e confronti: solo in questo modo il pubblico può diventare parte integrante della rappresentazione; esso, infatti, è reso testimone e giudice di realtà opposte, scandite dal repentino alternarsi di momenti di profonda intimità o di atroce dolore ad altri burleschi e sarcastici. Queste contrapposizioni risultano essere stridenti, a tratti fastidiose, ma è proprio in virtù di tale fastidio che risultano essere estremamente efficaci, tanto da permettere ad ogni individuo presente in sala di evadere ed accedere ad un nuovo mondo, un mondo che rivela realtà nascoste e suscita riflessioni legate al senso della vita e al ruolo che la finzione gioca all’interno della nostra esistenza.

Tutt’altro che falso è un dialogo tra Miranda e Ferdinando: i due si scambiano dolci e leggiadre parole ed eseguono morbidi ed armoniosi movimenti grazie all’utilizzo di un’asta di legno che, come un lieve pendolo, si tramuta nel veicolo del dialogo. La peculiarità sta nel fatto che, una volta terminata questa raffinatissima scena, la stessa asta diventa protagonista di un momento di tutt’altra portata: il palco, occupato ora da Trinculo, Caliban e Stefano, diventa luogo di urla, voci gracchianti e battute mordaci.

Ogni strumento utilizzato durante la rappresentazione si fa portatore della filosofia dell’intero spettacolo: rendere attuale una storia del passato; gli stessi costumi, infatti, pur mantenendo linee classiche e tipiche dell’epoca rappresentata, trasportano con sé una freschissima scia di modernità.

Ottima la prova di Chiara Michelini (Ariel), la quale, oltre ad emergere per le proprie abilità interpretative, è in grado di coinvolgere il pubblico grazie a momenti dominati dalla danza. L’attrice, infatti, coniuga parola e movimento per delineare la complessa ed interessante figura di Ariel, uno simpatico spiritello denotato da una forte ingenuità (veicolata tramite i discorsi) a cui, sorprendentemente, si accosta una altrettanto evidente profondità d’animo che affiora grazie all’espressività del corpo.

Maria Irene Minelli e Marcello Spinetta, nei panni di Miranda e Ferdinando, attraverso momenti regnati da armonia ed equilibrio, diventano simbolo dell’amore sincero.

Convincono anche Massimiliano Poli (Trinculo), Jared McNeill (Caliban) e Vincenzo del Prete (Stefano), i quali formano un trio vincente che ha il compito di generare contrasti, strappare qualche risata al pubblico e, soprattutto, permettere allo spettatore di riflettere sui numerosi paradossi che caratterizzano le nostre vite.

Buone anche le prove di Massimiliano Donato (Alonso), Valerio Pietrovita (Antonio), Andrea Castellano (Nostromo) e Bruno Stori (Gonzalo).

L’intero spettacolo assume significato grazie a Prospero, (interpretato da Marco Sgrosso), protagonista dei due opposti su cui si fonda l’opera: amore e odio, odio e amore. Egli manifesta il proprio odio scatenando una terribile tempesta, rivendicando con la violenza il proprio titolo di duca di Milano e facendo impazzire i naufraghi. Saranno queste cattiverie che faranno scaturire  in Prospero un nuovo sentimento: la compassione; quella compassione che scuote gli animi, che permette di vedere la realtà sotto una luce nuova e dà la possibilità di correggere gli errori commessi.

E proprio a Prospero è affidato il compito di rivolgersi al pubblico, utilizzando parole schiette e raccontando la verità: tutto ciò che è stato raffigurato altro non è che una semplicissima finzione. Ma forse la finzione e la rappresentazione di una fantomatica realtà sono le chiavi che ci permettono di scoprire un tesoro preziosissimo, quello che racchiude il significato più profondo della vita.

Il pubblico, affascinato dalla magnificenza delle scene, dopo aver viaggiato in un mondo parallelo ed aver osservato la realtà da un altro punto di vista, applaude calorosamente.