Recensioni - Teatro

Milano: Poetico, struggente Zoo di vetro

Il capolavoro di Tennessee Williams in una personalissima ed efficace interpretazione del regista Leonardo Lidi in prima italiana al Teatro Carcano

Essere giovani aiuta quando serve il coraggio necessario per reinterpretare i classici e reinventarli rispetto a chiavi di lettura più tradizionali. Quando poi oltre alla giovinezza si possiedono talento e ottime idee, oltre a quattro attori che risuonano in perfetta armonia, come un affiatato quartetto d’archi, allora il gioco riesce perfettamente.
Nella nuova edizione dello Zoo di vetro di Tennesse Williams, firmata dal giovane Leonardo Lidi, prodotta dal Lac di Lugano insieme ad altri teatri tra cui il Teatro Carcano, in cui ha avuto luogo la prima italiana, la storia di Laura, ragazza introversa, incapace di relazionarsi con il mondo, che dedica tutta la sua attenzione allo zoo di animaletti di vetro lasciatole in eredità dal padre, viene raccontata dal fratello Tom, sganciandosi da ogni ipotesi di realtà, perché, come dice Tom stesso in apertura di spettacolo, “Il dramma è sentimentale, non realistico” ed il sentimento viene in questo caso reinterpretato in maniera poetica e straniante.
La chiave di lettura è quella clownesca: in una casa rosa stilizzata agiscono Tom e Laura, abbigliati secondo i canoni malinconici del clown bianco, che rimanda alla figura di Pierrot, mentre la madre Amanda è caratterizzata da tratti più estroversi che si manifestano anche nella recitazione. Lo spettacolo si apre con un suggestivo colpo d’occhio, complici la bellissima scena e i perfetti costumi rispettivamente di Nicolas Bovey e Aurora Diamanti: Laura, accompagnata da un’arpa immaginaria, canta “Quella carezza della sera”, canzone leitmotiv dello spettacolo nella quale ritorna “quella voglia di andare via di qua” che capiamo fin da subito essere la vera pulsione di Tom, ostacolata però dal suo senso di responsabilità.

Non vi è nulla di caricaturale o sopra le righe nei clown che vediamo in scena, anzi, la recitazione, è estremamente rigorosa, ogni battuta è studiata, quasi cesellata, ma senza alcun manierismo. Questi clown sono in realtà maschere, in cui si fondono poesia e struggimento e, quando si ride, si ride quasi sempre amaro.
Leonardo Lidi chiede molto ai suoi attori sia dal punto di vista della concentrazione che da quello dello sforzo tecnico ed emotivo, per sostenere i continui e bruschi cambi di registro, ed i suoi attori rispondono con profonda sensibilità. La scena del litigio tra madre e figlio ripetuta più volte in una sorta di loop, in continuo crescendo ed all’unisono, è uno dei tanti momenti di grande coinvolgimento per il pubblico, che dimostra quanto la frequentazione sui palcoscenici tra Tindaro Granata e Mariangela Granelli si sia trasformata in una magica sintonia.

Ma tutti gli attori ci regalano una prova maiuscola. Tindaro Granata è un Tom introverso ed umanissimo, che entra in immediata sintonia con il pubblico e nei confronti del quale è impossibile non provare una profonda empatia. Mariangela Granelli è un’Amanda che alterna ai momenti più estroversi, a volte aggressivi nei confronti dei figli, altri più introspettivi, nei quali si rende amaramente conto della propria situazione. Anahi Traversi è una Laura delicata, fragile ma intrisa di lirismo, mentre Mario Pirrello, dopo aver rivestito per buona parte dello spettacolo i panni del padre assente, si spoglia degli abiti da clown per dare corpo al maldestro Jim che, rompendo l’unicorno di vetro -bellissimo dal punto di vista registico l’utilizzo di un semplice cartone a rappresentare prima la porta d’ingresso e poi lo zoo- costituirà l’elemento di svolta della vicenda.
Un’ora e tre quarti di spettacolo che si bevono in un fiato e che vengono accolti dal pubblico con applausi sinceri e calorosi. Da non perdere.