Recensioni - Teatro

Milano: al Franco Parenti "Coltelli nelle Galline" di David Harrower

Nel foyer del Teatro Franco Parenti va in scena “Coltelli nelle galline”, opera prima del pluripremiato autore scozzese David Harrower, con la regia di Andrée Ruth Shammah.

Un telo bianco, tre figure si stagliano in controluce: una giovane donna (Eva Riccobono), un contadino (Maurizio Donadoni), un mugnaio (Pietro Micci); gli artefici delle vicende che da lì a poco si dipaneranno davanti al pubblico. L’ambiente è quello rurale, il tempo indefinito, di certo richiama un passato remoto, di giornate semplici e uguali, segnate dal lavoro nei campi, dall’accudimento degli animali e da tanto olio di gomito. Il pubblico, che circonda il basso palcoscenico, quasi a toccare gli attori in scena, viene catapultato nella ripetitività tipicamente agreste di una giovane donna (di cui non si scoprirà mai il nome) e del marito Pony William, un contadino semplice, senza curiosità e ambizioni, compiaciuto da se stesso e dalla sua visione del mondo, appagato dall’accudimento dei propri cavalli e da qualche incontro licenzioso nella stalla. La moglie lo venera, lo assurge a suo maestro e guida… eppure, nonostante le limitazioni imposte dal marito, non riesce a frenare la sua voglia di sapere, il desiderio di conoscere, di avvicinarsi a Dio grazie al contatto con il suo operato. La donna osserva, formula in modo quasi infantile domande a cui il marito non può rispondere e, sebbene fatichi a trovare le parole e a formulare chiaramente il pensiero che la guida, è spinta costantemente alla ricerca di qualcosa di più.

L’incontro con il mugnaio Gilbert, il reietto del villaggio, colto e disprezzato, isolato e maledetto, è il punto di svolta. La giovane donna raggiunge una nuova consapevolezza e a poco a poco scopre la forza della scrittura e della parola come strumento per formulare il proprio pensiero, per chiarire le proprie aspirazioni, per comprendere ciò che la circonda. La donna sottomessa, ubbidiente e spaventata a poco a poco scompare e lascia il posto a una forza d’animo e una scaltrezza quasi diabolica che le permetteranno di rivoluzionare la sua vita in un finale denso di emozioni.

La scena (a cura di Margherita Palli con la collaborazione di Marco Cristini) è essenziale ma efficace: in un rimando che amplifica gli ambienti pur sottolineandone la dimensione opprimente, ai video in bianco e nero (di Luca Scarzella) corrispondono scene in miniatura che scandiscono i passaggi della storia. Alcuni oggetti della quotidianità agreste poi strabordano dal palco e occupano parte della platea consentendo agli attori un continuo passaggio da una dimensione verista a una più simbolica, determinata dal sapiente uso di teli e luci (a cura di Camilla Piccioni).

«Coltelli nelle galline» è allora uno spettacolo inaspettato, solo apparentemente semplice, che si apre a interpretazioni che vanno bene al di là dell’ovvio triangolo amoroso. Uno spettacolo capace di riecheggiare per giorni nella mente di chi vi assiste, quasi straniato dalle scelte interpretative e di regia di un testo potente ma anche fragile, in cui le parole semplici si fanno complesse e i ragionamenti ontologici vengono declinati con singolari analogie agresti, come nella battuta chiave che dà il titolo all’opera: “Devo mettere i nomi in tutto quello che ho davanti come quando metto il coltello nello stomaco di una gallina”.

Ancora al Teatro Franco Parenti fino al 20 Ottobre 2019.