Rilettura misticheggiante di Theodoros Terzopoulos per il capolavoro di Samuel Beckett. Messa in scena accurata non senza qualche monotonia
Arriva a Modena al Teatro Storchi “Aspettando Godot” capolavoro iconico del teatro di Samuel Beckett nella rilettura del regista e didatta greco Theodoros Terzopoulos.
Terzopoulos sceglie un taglio sicuramente personale che però del dettato ironico e clownesco di Beckett lascia poco o niente. Infatti la lettura risulta prevalentemente misticheggiante con continui richiami al simbolo della croce.
La scena consta di un cubo praticabile in cui quattro pannelli frontali mobili formano all’inizio una croce luminosa, questi pannelli si aprono poi formando nicchie a mezza altezza oppure di nuovo una croce più ampia. Numerosi i rimandi religiosi, a partire dalla prima scena che si apre con i due personaggi principali, Vladimiro ed Estragone, che appaiono come cadaveri distesi in un rettangolo scenico a mezza altezza, un fascio di luce li illumina con chiaro rimando al celebre Cristo disteso di Holbein conservato a Basilea.
Da questa posizione i personaggi iniziano il loro dialogo, perlopiù distesi, accompagnati da un tappeto sonoro, a cura di Panayiotis Veliantis, che sarà onnipresente durante tutto lo spettacolo. Terzopoulos dell’originale tiene sostanzialmente il testo, mentre l’ambientazione suggerita da Beckett con le pletoriche e precisissime didascalie viene completamente tralasciata.
Così non ci sono le scarpe, le corde, l’albero, le rape e le carote previste dall’autore, ma personaggi che dialogano formando il più delle volte posizioni che alludono al simbolo ricorrente della croce. Pozzo appare tagliando un lenzuolo, come uscendo dal ventre materno. Lucky prima è costretto in una scatola angusta, per poi, nell’atto successivo, apparire in basso con gli altri attori in alto a formare nuovamente il simbolo della croce.
In scena non accade quasi nulla, il dialogo procede con i protagonisti, Vladimiro ed Estragone, per lo più sdraiati in varie posizioni, a formare i bracci della croce e Pozzo e Lucky generalmente in piedi a formarne la parte verticale. A proscenio c’è una piantina, forse l’albero beckettiano, che Lucky recupera con movimenti lenti e sofferenti nel corso del secondo atto. Appaiono coltelli e libri, i primi giungono dall’alto; Vladimiro ed Estragone mimano una lotta all’ultimo sangue; il ragazzo nel secondo atto strappa le pagine di un libro; nel finale cala dall’alto una colonna di libri aperti dove prima c’erano i coltelli. Simbologie visive dunque, associate a rimandi sonori simbolici in una costruzione cerebrale ed estetica.
La recitazione è precisa, accurata, a tratti maniacale, ma alla lunga anche monotona nella ripetizione di stilemi sonori e posture fisiche. Di grande precisione tutti i passaggi, suggestive diverse scene, anche se il continuo tappeto sonoro finisce per disturbare più che esaltare il dettato scenico. Certo Beckett è un pretesto, si tratta di una creazione originale, un esercizio stilistico che prende a prestito le parole del drammaturgo inglese. L’accuratezza, la precisione ci sono, se poi lo spettacolo sia veramente fruibile per il pubblico resta in dubbio.
Fra gli attori spicca il Lucky di Giulio Germano Cervi, preciso e allucinato sia fisicamente che vocalmente in una parte di costante e reiterata tensione mimica. Ottimi anche tutti gli altri: Paolo Musio, Stefano Randisi, Enzo Vetrano, Rocco Ancarola.
Buon successo nel finale.
Raffaello Malesci (13 Gennaio 2023)