Recensioni - Teatro

Modena: Umberto Orsini ritorna a Thomas Bernhard

Rimane magistrale anche dopo anni la grande interpretazione dell'attore

A Modena, al Teatro Storchi, è andata in scena la piece “Il Nipote di Wittgenstein” liberamente tratta da un romanzo dello scrittore austriaco Thomas Bernhard, adattata e diretta dal regista francese Patrick Guinand. Interprete principale Umberto Orsini, affiancato da Elisabetta Piccolomini nei panni di una muta presenza.

Prodotto da Emilia Romagna Teatro nel 2001 e ripreso ora dalla Compagnia Orsini, vede tutt'ora Umberto Orsini nel ruolo di protagonista assoluto. Un grande mattatore della serata, che regge il palco per un'ora e venti senza essere mai sguaiato o sopra le righe. Una presenza scenica totale, una declinazione vocale precisa, ficcante, armonica e varia che alterna momenti di puro racconto ad abbandoni elegiaci e a sprazzi di sentita commozione. Un'interpretazione che resta indimenticabile per l'ottantacinquenne attore piemontese. Una vera lezione di teatro.

Il testo di Thomas Berhard è parzialmente autobiografico con numerose citazioni all'ambiente austriaco, alla capitale Vienna e all'opprimente provincia austriaca. E' il racconto di un ricordo, di un mondo, di un'amicizia passata: quella appunto fra il protagonista e il nipote del celebre filosofo austriaco Ludwig Wittgentein, Paul. La storia prende le mosse dal fatto che entrambi gli uomini si trovano ricoverati nello stesso ospedale, sebbene in due padiglioni differenti, l'uno per problemi ai polmoni, l'altro per le frequenti crisi di pazzia.

Orsini si muove in una casa asettica e senza spigoli, potrebbe quasi essere una clinica, ed è frequentemente interrotto da una presenza muta e incombente – la brava Elisabetta Piccolomini – con cui il protagonista intesse una sottile battaglia monomaniacale intorno al tenere o meno aperta la finestra. Così, nel mentre uno continua ad aprire la finestra e l'altra a richiuderla indispettita, Orsini delinea progressivamente la sua vita e quella di Paul in una Vienna che ricorda tanto gli aneliti fin de siècle di Schnitzler o le manie persecutorie di Canetti.

Niente di più freudiano poi nella malattia nervosa di Paul, che non sarebbe riuscito a dominare la sua pazzia a differenza del più famoso, e altrettanto pazzo, zio Ludwig. Niente di più austriaco dell'ironico racconto dell'affannosa ricerca di un giornale Svizzero, ovviamente introvabile nella provinciale Austria, dove Vienna è ormai solo la tronfia ex capitale imperiale, una metropoli pletorica che non ha più alcuna relazione con la realtà e da cui entrambi i protagonisti cercano di fuggire. Thomas Bernhard allo stato puro e primigenio dunque, ottimamente esaltato da una regia mai invadente eppure molto attenta ai particolari, ma sopratutto, ripetiamo, dall'intensa prova di Umberto Orsini che sembra essere tutt'uno con il personaggio e di riflesso con lo scrittore.

Il pubblico dello Storchi è stato rapito da questa storia ancora attuale e a fine spettacolo a tributato calorosi applausi ai due interpreti, con numerose chiamate a proscenio per Umberto Orsini.

(R. Malesci 26/10/19)