Recensioni - Teatro

Padova: In The Night Writer-Giornale notturno, Lino Musella dà voce a sogni e mostri che popolano le notti bianche di Jan Fabre

Al Teatro Verdi di Padova, il sesto appuntamento della stagione teatrale 2019/2020 ha portato in scena dal 22 al 26 gennaio The Night Writer-Giornale notturno, scritto e diretto da Jan Fabre.

Il monologo, curato e tradotto da Franco Paris, prima opera tradotta in italiano del corpus di Fabre, è stato affidato all’interpretazione del bravo attore napoletano Lino Musella, premio Ubu 2019 per questo spettacolo. Hanno collaborato alla drammaturgia Miet Martens e Sigrid Bousset. Si tratta di una produzione che ha visto impegnati altre al team dell’artista belga e Aldo Miguel Grompone, un pool di collaborazioni che comprende FOG Triennale Milano Performing Arts, LuganoInScena-LAC (Lugano Arte e Cultura), il Teatro Metastasio di Prato, il Teatro Piemonte Europa, Marche Teatro, il Teatro Stabile del Veneto, a sottolineare la portata culturale dell’evento.

Sul palco buio si accende una stella che poi diventa la lampadina nuda dalla luce flebile appesa sopra la scrivania di Fabre-Musella, che sta seduto a scrivere, a disegnare e a leggere i suoi diari. È una di quelle notti infinite, senza sonno, che accompagnano da sempre la vita dell’artista di Anversa. Ai suoi piedi quello che sembra un paesaggio lunare, o un mare prosciugato, arso, dove resta solo una spiaggia di sale, esito di lacrime bruciate. Nel bianco si erigono quattro “Steine”, sassi-cervello che confluiscono nella mente di Fabre e che rappresentano la mente di uno scienziato (Einstein), di uno scrittore (Gertrude), di un filosofo e di un dottore che Musella lascia indovinare al pubblico.

La splendida musica di Stef Kamil Carlens accentua l’aspetto stralunato della scena, che sullo schermo collocato sul fondo replica l’ombra dell’uomo seduto alla scrivania, in perenne colloquio con se stesso. Fabre scrive le sue note in una solitudine popolata di entità pensieri-angeli e demoni, guarda all’uomo e al mondo con una curiosità e una spietatezza da entomologo che non risparmiano la sua stessa vita, prima di prendere espressione nella sua opera, nella sua arte.

Sul piano di vetro della scrivania, le immancabili sigarette nazionali belghe, che Musella accende compulsivamente a ardere con lui; due bottiglie di vetro di cui una è a forma di teschio, elemento ricorrente nelle sculture di Fabre; della frutta e una penna Bic blu, che nel codice degli scritti dell’artista è messaggera del vero — quella con inchiostro rosso del falso. Fabre-Musella si rivolge al pubblico, al lettore, agli spettatori che guardano le sue opere e performance: accanto a una lucidità che abbaglia c’è l’eccesso, una sregolatezza ricercata ed eletta a religione, e fanno sorridere le critiche di varia matrice che gli vengono rivolte riguardo a certi comportamenti e provocazioni. Non c’è deriva autoreferenziale se non in funzione altra, in questo corpo-voce che da quarant’anni stupisce e incanta per originalità e per autenticità. È d’obbligo ricordare che Roma fino al 9 febbraio ospita una mostra intitolata “The rhythm of the brain” che vede esposte oltre trenta opere dell’artista belga tra sculture, disegni e film-performance, molte delle quali mai viste in Italia e alcune realizzate appositamente per l’occasione.

Musella legge con intensità, modulando fino a mischiarli con l’urlo e col canto alcuni passi tratti dal Giornale Notturno 1978-1984 e il Giornale Notturno II 1985-1991 (i libri sono pubblicati in Italia da Cronopio, che ha da poco presentato il terzo Giornale Notturno). L’interprete li alterna in un flusso fluviale a brani di alcune opere essenziali di Fabre: La reincarnazione di Dio, Angelo della morte, Io sono un errore, L’imperatore della sconfitta, Il re del plagio, Corpo, servo delle mie brame, dimmi…, Io sono sangue, La storia delle lacrime, Le droghe mi hanno tenuto in vita). A un certo punto compare sul palco, defilata sulla destra, la sagoma di una marionetta che rappresenta lo stesso Fabre, col classico impermeabile e la sigaretta in bocca: si guarda farneticare, si contempla con indifferenza e se ne va.

Le parole declamate, che diventano presenze fisiche in teatro, sono intervallate da tre canzoni, la più rappresentativa Nel blu dipinto di blu: Fabre chiama il pubblico in un contesto protetto a fargli da coro. Sullo schermo scorrono in alcuni momenti spezzoni del film La Schelda, girato in 35 mm nell’1988 da un rimorchiatore sul fiume marrone e giallo che attraversa la città fiamminga di Anversa. Le immagini immortalano una performance meravigliosa, magica, che si vede per intero solo nel finale dello spettacolo e che ha come protagonista il giovane Jan e un gufo blu di vetro.

Una vita del tutto a modo suo, quella di Jan Fabre, che viene raccontata qui quasi in viva voce, immortalata in flash che fermano e ingannano lo scorrere del tempo e didascalie taglienti come lame, che irrompono anche in scena. Musella interpreta questo “cavaliere della disperazione” innamorato della bellezza con trasporto e un’ammirazione che fluisce palpabile, di quelle che consentono a un attore immedesimazioni stranianti, veritiere.

Lunghi applausi, dal pubblico del Verdi.