Recensioni - Teatro

Padova: al Verdi, Sebastiano Lo Monaco nelle stanze della follia di Enrico IV

Il Teatro Verdi di Padova ha inaugurato la stagione 2021-22 con un classico, l’Enrico IV di Luigi Pirandello, interpretato da Sebastiano Lo Monaco e diretto da Yannis Kokkos.

Nel centenario dalla sua apparizione sui palcoscenici, quello che è considerato uno dei capolavori dello scrittore e drammaturgo siciliano premio Nobel per la letteratura torna in scena in una produzione firmata Teatro Biondo Stabile di Palermo, Teatro Stabile di Catania Teatro Stabile del Veneto e associazione SiciliaTeatro e ha debuttato lo scorso novembre nel capoluogo siciliano.

A interpretare l’amata di colui che diventerà per venti lunghi anni Enrico di Franconia in seguito a una caduta da cavallo probabilmente esito di una cospirazione, Donna Matilde Spina (e Matilde di Toscana) è l’attrice Mariàngelas Torres. Claudio Mazzenga veste i panni del rivale storico Belcredi. In scena inoltre Rosario Petix è lo psichiatra e Luca Iacono il nipote Di Nolli, fidanzato di Frida, figlia di Matilde (Giulia Tommaselli).

Ad aprire il sipario sono come da copione i vassalli, una ridotta masnada di servitori-consiglieri “di corte” che davanti agli specchi di camerini d’attore si fanno beffe del re e del suo credere alla commedia che si porta avanti da decenni sulla sua pelle e a casa sua. Un enorme trono d’oro fa da sfondo ai teatrini e ai discorsi di coloro che fingono di essere a suo servizio, che Enrico IV chiamerà più tardi buffoni, svelato l’inganno della recita nella recita. A lato del palco, una costruzione imperiosa mima un baraccone degli specchi di quelli che si vedevano nei luna park, decorato da volti che recano chiara testimonianza della pazzia di chi lo abita. Fa la sua comparsa anche un televisore in bianco e nero, dove scorrono immagini che anticipano o seguono la narrazione riprese dalla platea in momenti diversi.

Le scene sono state curate dallo stesso Kokkos. Altro tema del dramma su cui si accendono i riflettori, oltre alla follia, è il ruolo della storia e del passare del tempo, quest’ultimo che correndo in avanti sembra sgranare altre persone dalle persone, come accade con la madre e la figlia: a tratti, nell’abbigliamento e nel ritratto che campeggia accanto a quello di Enrico, Frida sembra sua madre da giovane, ma il gioco dello scambio d’identità tra una ragazza e una più donna vecchia è sempre crudele a senso unico, ci ricorda Pirandello. Lo Monaco nel secondo atto interpreta con partecipazione re Enrico e la finzione giocata di fronte al suo piccolo mondo antico datato un secolo del tutto distorto; poi imprime la svolta della rivelazione e subito dopo percorre il passaggio amaro del ritorno necessario alla follia non più mimata, con le sue conseguenze tragiche da copione. In cielo compare una luna da novella pirandelliana solo in parte consolatrice. Altrettanto tragica in altro modo è la sorte di Matilde, ben rappresentata dalla sua interprete. Intorno a loro c’è una corte che incita e segue, una corte-coorte formata da personaggi diversi ma complementari: ciascuno con la sua peculiarità contribuisce a perpetuare l’inganno ai danni dello sfortunato signorotto imprigionato nella maschera di un re. Molto belli i costumi curati da Paola Mariani, in continuo rimpallo tra l’anno Mille e i primi anni del Novecento.

Una rilettura del celebre dramma nel complesso fedele al testo originale con l’accento posto sull’elemento della follia come mascheramento e come chiave di volta di un’architettura che non consente di fuggire ai dettami dell’infelicità della commedia umana.