Recensioni - Teatro

Thomas Bernhard senza ironia

Riuscita ma fin troppo rigorosa messa in scena di Piazza degli Eroi di Thomas Bernhard a cura di Roberto Andò per il Teatro Stabile di Napoli. Cast di alto livello.

Arriva a Brescia, dopo una lunga tournée in tutta Italia, Piazza degli Eroi (Heldenplatz), l’ultimo testo scritto nel 1988 dal drammaturgo austriaco Thomas Bernahrd. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Napoli, porta la firma del regista Roberto Andò con le scene di Gianni Carluccio e i costumi di Daniela Cernigliaro.

Testo emblematico ed eminentemente politico questo testamento di Thomas Bernhard, lo scrittore morirà infatti l’anno successivo alla composizione. Si tratta di un atto di accusa contro l’Austria e i suoi rigurgiti populisti e neonazisti. Lavoro che ancora oggi rimane per certi aspetti visionario, in particolare quando parla delle masse, dell’Europa, dell’aspirazione verso l’uomo forte. Testo anche fortemente ironico però, come giustamente sottolinea Massimo Cacciari nella sua prefazione allo spettacolo, intriso com’è per contrasto delle storture piccolo borghesi che caratterizzano la repubblica alpina, con i suoi riti chiacchierecci, la pomposa dignità di una borghesia da sala da concerto, ma anche il teatro come ultimo e illusorio appiglio culturale.

Piazza degli Eroi è la piazza dove Hitler celebra nel 1938 l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania Nazista, salutato con giubilo frenetico dal popolo. Piazza degli Eroi resta l’emblema di una sconfitta, di un allontanamento per la famiglia ebraica degli Schuster, che, costretti a rifugiarsi in Inghilterra alla fine degli anni trenta, rientrano dopo la fine del conflitto per constatare amaramente che nulla è cambiato, che la polvere nazionalsocialista è solo sopita sotto il tappeto in attesa di riesplodere. Il professor Josef Schuster decide allora di porre termine alla sua vita gettandosi dalla finestra. Qui parte il dramma di Bernhard: i sopravvissuti ricordano in tre lunghe scene il professore suicida e con lui gli accadimenti, la storia, i sentimenti, i travagli della famiglia negli ultimi cinquant’anni.

Josef Schuster, ritornando da Oxford, aveva deciso di affittare un appartamento nel centro di Vienna, con l’affaccio proprio su piazza degli Eroi e questo scatenerà una grave forma di patologia psicologica nella moglie. Il fratello di lui, Robert, invece, tornato anch’egli dall’Inghilterra, sceglie di ritirarsi fuori Vienna, a Neuhaus, quasi a volersi astrarre da un mondo per cui non vuole più combattere. Il suicidio di Josef lascia tutti sgomenti, nella prima scena è la governante, la signora Zittel, a ricordare il professore mentre ne raccoglie le cose. La Zittel racconta con un misto di tenerezza e pudore il padrone, di cui forse è invaghita, senza mancare di ribadire la propria fierezza servile, quasi un rigurgito del tempo passato in cui le famiglie potevano permettersi una governante degna come lei, mentre oggi tutti i portinai di Vienna, come ricorda la Zittel, sono jugoslavi.

Protagonista del secondo quadro è invece il fratello del defunto professore, Robert. Anch’egli professore di filosofia, che, reduce dal funerale, si lascia andare, in un dialogo con le sue nipoti, le figlie di Josef, ad una lunga invettiva contro l’Austria contemporanea. Questo sermone senile è intervallato però da più prosaiche considerazioni riguardanti la proprietà di Neuhaus, minacciata da una nuova strada, ma anche dai pettegolezzi aristocratici sulla nuova amante del nipote Lukas, nientemeno che un’attrice del Burgtheater, in una commistione di alto e basso condita con ironia prettamente viennese.

La pièce si conclude nella scena finale con la cena che segue il funerale, ove ritornano le tematiche della seconda scena, ammantate però nel gretto chiacchiericcio di una sonnolenta borghesia ebraica, che alterna considerazioni amare sull’antisemitismo a salaci apostrofi verso le attrici, o a commenti politici e rimostranze verso la stampa sempre più becera. Tutta la tensione paradossalmente si stempera in una conversazione salottiera (“plaudern” dicono gli austriaci) tipicamente viennese, con il risvolto quasi comico della Signora Schuster che muore durante l’amabile pranzo oppressa dai ricordi e dalla voce di Hitler, che sente nuovamente salire da Piazza degli eroi, cadendo in avanti con il viso nel piatto della minestra.

Roberto Andò cura la messa in scena in modo assai rigoroso, scegliendo una scenografia classica, preparando accuratamente gli attori e seguendo il testo nella sua interezza, con poche variazioni per lo più volte a togliere alcuni riferimenti che sarebbero risultati incomprensibili al pubblico italiano. Inserisce la figura di un pianista che suona dal vivo durante gli intermezzi fra le scene e, soprattutto nella prima parte, si aggira per il palco, senza tuttavia risaltare come una figura veramente pregnante.

Andò tuttavia, pur nell’accuratezza scenica che gli va riconosciuta, sembra non accorgersi della sottile ironia insita nel testo. Tralascia la verve conversativa caratteristica dei Viennesi, che emerge chiaramente e con intenti dissacranti dal fitto dialogo, non a caso scritto senza punteggiatura come è nello stile di Bernhard, per dare un taglio eccessivamente drammatico che alla lunga risulta monocorde. Appiattisce il sostanziale monologo della Zittel in una requisitoria eccessivamente seriosa, senza dare spazio all’indulgenza insita nel racconto, alle ironiche debolezze, in parte autobiografiche, di un professore che collezionava scarpe proprio come l’autore e che in fondo viene descritto come un elegante viveur viennese. Lo stesso dicasi per il secondo atto in cui si evita di sottolineare la parte leggera del dialogo, quando nella conversazione che segue al funerale entrano le fin troppo prosaiche discussioni riguardo al giardino di Neuhaus, che sta per essere requisito per farci una strada.

Anche la terza parte difetta della lievità della conversazione borghese da caffè Sacher, che Bernhard volutamente introduce come contrasto all’atmosfera psicologica sempre più opprimente e che porterà al collasso della Signora Schuster. La scelta di rendere il finale esageratamente tragico, affidando alcune parti a registrazioni e stagliando il personaggio della Schuster in una drammatica luce materica, non fa che appesantire uno spettacolo già lungo e, purtroppo, troppo monocorde e lontano dall’ironia sottintesa al testo. Chi per esperienza personale ha partecipato a funerali austriaci, sa che la piccola e allegra conversazione successiva non può mancare, così come il caffè e la torta; questo mette in scena Bernhard, non un dramma. Andò preferisce un finale mimico, totalmente espressionista nella smorfia finale della Signora Schuster, comunque di grande impatto.

Quello di Andò resta un ottimo lavoro di messa in scena, a cui forse avrebbe giovato quella leggerezza mista a inquietudine riassunta dalla canzone “Der Tod, das muss ein Wiener sein” (La morte, deve essere sicuramente un viennese) di Georg Kreisler, anch’egli viennese ebreo costretto a fuggire e rientrato a Vienna dopo la guerra come gli Schuster. Nella canzone si dice che solo un viennese può comunicare la morte perché solo un viennese può trovare il giusto tono. (Der Tod, das muss ein Wiener sein, Nur er trifft den richtigen Ton). Nello spettacolo di Andò il tono era troppo appiattito sull’idea di tragedia, cosa che non ritroviamo in Bernhard, né tantomeno nell’anima viennese.

Ottimo il cast artistico, capitanato da un grande Renato Carpentieri che interpreta magistralmente Robert Schuster, sostenendo brillantemente la lunga parte, senza perdere un accento e permettendo al pubblico, grazie ad una recitazione asciutta e sorvegliata, di seguire perfettamente il testo, spesso non facile. Imma Villa era una convincente Signora Zittel, mentre Silvia Ajelli delinea una Anna Schuster precisa e coinvolta, di grande magnetismo scenico. Nella piccola parte della Signora Schuster troviamo nientemeno che un’attrice del calibro di Betti Pedrazzi, perfetta nel rappresentare i dettami del regista. Completavano il cast in modo omogeneo e professionale: Paolo Cresta, Francesca Cutolo, Stefano Jotti, Valeria Lucchetti, Enzo Salomone e Vincenzo Pasquariello.

Molti e meritati applausi nel finale da un teatro purtroppo non abbastanza affollato per la qualità della proposta.

Raffaello Malesci (16 Febbraio 2022)