Natalino Balasso guida un cast di bravi caratteristi
Prosegue la stagione della “Grande prosa” al Teatro Sociale di Trento con “La Bancarotta”, una riduzione-adattamento dall'omonima commedia di Carlo Goldoni a cura del drammaturgo Vitaliano Trevisan.
L'operazione drammaturgica è di sicuro interesse, essendo “La Bancarotta” una delle commedie meno rappresentate di Goldoni. Rientra nel corpus goldoniano come terza commedia in catalogo, andata in scena al Teatro San Samuele di Venezia nel 1741. La distribuzione dei ruoli ricalca ancora fedelmente l'impostazione tipica della commedia dell'arte, con ampio ricorso alle maschere: Pantalone, Truffaldino, Brighella, Smeraldina e lo stesso Dottor Lombardi che successivamente si trasformerà nel più conosciuto Balanzone. Nell'originale Pantalone de' Bisognosi è un mercante avventato, “amico delle femmine”, che, circondato da avvoltoi e profittatori, manda in rovina l'azienda di famiglia.
Trevisan tenta di attualizzare la commedia, trasportandola nel nostro nord est fatto di ricchi industriali e di un capitalismo “veneto”, familiare quanto provinciale. Pantalone si trasforma da vittima in artefice del suo male: Trevisan gli accolla, oltre alla passione per le belle donne già presente in Goldoni, una serie infinita di vizi creando un personaggio collerico, spregiudicato ai limiti della truffa e dedito ad ampio e reiterato consumo di droghe. Circonda poi il protagonista da una serie di “maschere moderne” che dovrebbero attualizzare quelle utilizzate nella commedia dell'arte: la moglie slava profittatrice e arraffona, il servo tamarro alla Thomas Milian, il Brighella tramutato in un immigrato extracomunitario, il Conte trasformato in un equivoco dandy in salsa veneta e, infine, il figlio che tenta di sfuggire all'oppressione paterna rifugiandosi nelle droghe e nel teatro.
Ne risulta una bella serie di caratteri, alcuni riusciti, altri meno, che danno un taglio spigliato al lavoro, imprimendogli una costante varietà. Tuttavia la drammaturgia risulta spesso scollegata e le scene si assommano per rimandi e intuizioni più che per l'evoluzione della storia e la consequenzialità dei personaggi. Ne deriva una certa ripetitività e confusione che sfocia in un finale affrettato e raccogliticcio, in cui tutto va all'aria a tempo di musica. Chiude la commedia un'amara constatazione sulle disgrazie del “Bel Paese”, affidata ad una finta invalida, personaggio comico di pura invenzione. Un assommarsi di personaggi negativi insomma, un gioco al massacro sui vizi dei veneti e per estensione degli italiani.
Serena Sinigaglia cura la regia del lavoro in modo diretto, senza orpelli, puntando sul ritmo e sulla verve degli attori. L'azione si snoda su di una casa che sta sprofondando nel terreno, metafora plastica e azzeccata della “malora” in cui è finito Pantalone. Splendidi e azzeccati in questo senso sia la scena che i costumi, a cura entrambi di Maria Paola di Francesco.
Ottimo il gruppo di attori, tutti caratteristi di prim'ordine, che recitano un “nuovo” Goldoni alla “vecchia” e perciò in modo efficacissimo. Natalino Balasso resta fedele alla sua maschera e fa sfoggio di tempi comici perfetti. Marta dalla Via ben si destreggia negli accenti inanellando due personaggi vivaci e divertenti. Inarrivabile per precisione, fraseggio e capacità di farsi ascoltare Massimo Verdastro, che fa sfoggio di grande tecnica e misurata esperienza interpretando l'avvocato Lombardi e Don Marzio. Gaglioffo e caricaturale il servo di Raffaele Musella che fa il paio con il figlio viziato e teatrante fallito di Denis Fasolo. Completano il cast i validi Fulvio Falzarano, Giuseppe Aceto, Celeste Gugliandolo e Carla Manzon.
Applausi convinti a fine serata.
R. Malesci (14/12/19)