Recensioni - Teatro

Treviso: Umberto Orsini, a teatro, abita la Dogville de Il costruttore Solness

È andato in scena in questo fine settimana, al teatro Del Monaco di Treviso, “Il costruttore Solness”. Il dramma scritto da Henrik Ibsen nel 1892 porta qui la firma di Alessandro Serra; lo spettacolo si colloca nella rete artistica “Progetto Ibsen–I pilastri della drammaturgia contemporanea” e festeggia in questo febbraio i due anni e le due stagioni in tournée sui palcoscenici italiani.

A interpretare il protagonista del celebre dramma in tre atti in questa rilettura proposta in un atto unico da Serra è il grande Umberto Orsini, prestante, elegante e magnetico, che ha fornito una rappresentazione credibile della figura controversa, vertiginosa e ferina del vecchio Solness. Con lui nel cast Renata Palminiello (la moglie Aline), Lucia Lavia (la giovane lolita-Hilde), Pietro Micci (il dottor Herald), Chiara Degani (la contabile Kaja), Salvo Drago (il giovane disegnatore Ragnar) e Flavio Bonacci (l’ex architetto Knut Brovik).

Un dramma davvero pieno di vertigine, l’opera in cui Ibsen confessò di aver messo più di se stesso, densa di sovra letture possibili. Straordinaria la trasposizione teatrale firmata Alessandro Serra, vincitore nel 2017 del Premio Ubu con Macbettu, che anche per questa produzione Compagnia Orsini e Teatro Stabile dell’Umbria ha curato la realizzazione di costumi, luci, scene e musiche.

Un palco vestito a lutto, funereo, che enormi strutture mobili nere di volta in volta trasformano in un ufficio pieno di lotte e tensioni, meste stanze di casa, un’impalcatura da cantiere che ambisce a salire fino al cielo e un muro (di Berlino) come quelli costruiti tra le persone in scena evocato da giganteschi laterizi. Un tavolino-scrivania, incrinato diventa tavolo da disegno di fredda lamiera, dove si incidono sogni e dolori — siamo nell’ufficio del costruttore — e poi tavolo da obitorio che finirà per ospitare la salma di Knut. Una Dogville, per dirla con Lars von Trier, con un’atmosfera senza tempo, datata solo dagli abiti di scena, perché il dramma che vi si svolge non ha né epoca né età.

Il tema della casa percorre l’intero dramma: Halvard Solness da giovane era un costruttore di chiese, di campanili-torri inghirlandati che parlavano di potenza, fino a che nella sua vita non si sono insinuate le conseguenza di quella crepa leggera di cui aveva visto l’ombra nel camino. Il solo desiderio che è rimasto ad ardere in lui dopo la tragedia era quello di costruire case per famiglie, stanze per bambini. Si è condannato invece a vivere in una cripta e ora che è vecchio teme che le onde di giovinezza che tanto lo nutrivano gli passino accanto, lo oltrepassino.

Tanti gli echi che arrivano dal testo riferito in dialoghi e monologhi sulla scena: il dottor Herald-novello Freud fa adagiare Solness sulle sue ginocchia e fa materializzare sulla parete i fantasmi dei sogni erotici del vecchio; accanto a questi compaiono i demoni di Dostoevskij, che agitano i sogni di grandezza e le azioni malvage compiute da Solness nel corso della sua vita («uno stupratore», dice di se stesso a un certo punto); Hilde ricorda da una parte i personaggi femminili traviati come la Nancy di Oliver Twist, ma dall’altra è un demone anche lei, o meglio, è l’incarnazione del fuoco dell’ambizione che ha sempre fatto ardere la mente di Solness. Aline-Renata Palminiello si muove sul palco con un andamento ipnotico, come una revenant, è una donna resa simulacro da una sofferenza indicibile che l’ha ferita a morte, e di questo Solness, che si sente responsabile, non si dà pace. Il lavorio di questo dolore non basta però a modificare i comportamenti malati dell’uomo, la sua fame di vita che solo donne giovani sanno per un po’ placare: Chiara Degani interpreta con discrezione l’impiegata Kaia, innamorata di Solness ma in fondo opportunista; Lucia Lavia dà a Hilde il giusto carattere della vittima che diventa carnefice ma forse non fa sentire del tutto l’impeto dell’ala della giovinezza che dovrà spingere l’amato-odiato Halvard Solness oltre i suoi limiti, nel baratro. Bella la scena in cui le due donne rivali (Aline e Hilde) si adagiano vicine su sedie sdraio color del sole e si raccontano.

Orsini è perfetto nei panni di Solness, con tanto di physique du rôle ideale, del resto ha dichiarato che da moltissimo tempo nutriva per questa difficile opera di Ibsen un interesse vivissimo. Con generosità dà spazio ai giovani attori del cast che gli sono a fianco senza strafare, e quando prende la scena lo fa con una naturalezza che è frutto di grande maestria, quella che solo una carriera ricca e preziosa come la sua può dare.

Lunghi applausi, dal pubblico del teatro.