Recensioni - Teatro

Treviso: velato da un sottile strato di ghiaccio, l’Ispettore generale di Gogol messo in scena da Muscato

Una rappresentazione fedele e ben interpretata, con Rocco Papaleo a capo di una comunità di inetti trafficoni che invita al sorriso, più che alla condanna

Ha fatto sosta in questi giorni che precedono il Natale per alcune tappe della sua tournée anche a Treviso, al Teatro “Mario Del Monaco”, L’ispettore generale, un classico considerato tra i capolavori letterari dello scrittore russo Nikolaj Gogol.

Sul manifesto dello spettacolo, velato da un sottile strato di ghiaccio, appare il volto intenso di Rocco Papaleo, a cui è affidato il ruolo del Podestà del villaggio al centro della steppa e della vicenda, ma in realtà la commedia non ha un vero protagonista se non un’ambientazione, delle prassi malandrine e una comunità che le pratica senza ritegno alcuno. Nella messa in scena affidata a Leo Muscato, questa commedia degli equivoci rimane ancorata al suo tempo e in generale al suo luogo, grazie a una scenografia curata da Andrea Belli che evoca i paesaggi delle cittadine russe lontanissime dai gangli nevralgici imperiali “che tutto movono e tutto potono”.

Al centro del palco, una struttura girevole riproduce le case in legno che ospitano le vicende (le loro porte in realtà); intorno il paese è ghiacciato, glaciale, rappresentato con grandi strutture solide attonite e mute; sulle strade ci sono ghiaccio e cumuli di neve — nevica spesso, anche nel corso dello spettacolo. I costumi firmati da Margherita Baldoni contribuiscono a ricostruire la temperie ottocentesca russa: stivaloni e pellicce da cosacco dello Zar, alla Popoff diceva una canzoncina d’altri tempi, per gli uomini; per le donne vestitini colorati da matrioska. Una piccola comunità di inetti, tante figurine caratterizzate da tratti in gran parte caricaturali, riproducono gli stereotipi che solitamente si abbinano alla gente che si definiva d’oltrecortina: il Podestà che abusa “bonariamente” del suo potere (Papaleo), con moglie e figlia oltremodo interessate, una a trasferirsi grazie al ruolo in società ricoperto del marito tra i fastosi palazzi di San Pietroburgo, interpretata da Marta Dalla Via, e l’altra (Letizia Bravi) subito pronta ad accasarsi con il presunto Ispettore generale; intorno, l’ubriacone imbevuto di Vodka, una pletora di funzionari statali (l’ufficiale delle Poste ben interpretato da Marco Brinzi; il Giudice ingiusto-Marco Gobetti; il Direttore scolastico timidissimo e balbuziente-Marco Vergani; il Sovraintendente alle Opere Pie invero poco pio Gennaro Di Biase; il Medico dal fiato letale-Elena Aimone) e poi con loro il Mercante imbroglione-Salvatore Cutrì e due semplici cittadini intrallazzatori-Michele Cipriani e Michele Schiano di Cola.

Tutto il tran tran invernale del villaggio viene turbato dall’arrivo di un Babbo Natale alla rovescia, con tanto di servo-elfo (Giulio Baraldi) ovvero il presunto Ispettore Generale con tanto di capilettera (Daniele Marmi gli dà vita con i giusti toni). Si tratta di un uomo di potere inviato dai vertici dell’apparato burocratico russo per raddrizzare le storture e l’assetto corrotto dei rami più deboli, inaccettabile replica in scala minore della natura deviata del sistema. Nota la trama, l’atto unico in questa produzione corale dei Teatri Stabili di Bolzano, di Torino, del Veneto, si gioca sui toni della caricatura e non disdegna intermezzi farseschi. L’intento satirico di Gogol, che nella messa in ridicolo intendeva sottolineare con amarezza lo status quo del suo Paese, travalicando contesti ed epoche arriva a noi genti del terzo millennio depotenziato, più cabarettistico, tanto siamo assuefatti al nostro status quo ormai in stadio terminale, a proposto di etica dello Stato e di meccanismi di governo. Si ride a teatro, i personaggi animati con ingegno dagli attori generano simpatia, in qualche modo sono evocativi anche di esperienze non troppo lontane da quelle quotidiane per lo spettatore, altro effetto di carattere partecipativo non si ottiene. Bravi gli attori e competente il lavoro dell’adattamento, invero fedele e rispettoso in questa co-produzione, ma a chi fosse capitato di vedere a teatro ad esempio la rilettura illuminata, straniante, contemporanea, del testo di Gogol creata dal veneziano Damiano Michieletto, che ha solcato i palcoscenici una decina di anni fa, con bene accentuato, anche in modo sfrontato, il lato “sporco” dei personaggi di Gogol e dei soldi che maneggiano, il filtro del vetro appannato dallo strato di ghiaccio appare piuttosto in evidenza.