Recensioni - Teatro

Troiane senza il coro

Irrisolto allestimento della tragedia di Euripide a Modena

Prosegue la stagione di prosa al Teatro Storchi di Modena con “Le Troiane”, spettacolo tratto da Euripide e adattato da Angela Demattè per la regia di Andrea Chiodi. Si tratta di una produzione del Centro Teatrale Bresciano che ha debuttato a settembre del 2021 e ora è in tournée in diversi teatri.

Avendo lo spettacolo debuttato dopo il lockdown forzato del 2020-2021, l’adattamento e la drammaturgia hanno risentito fortemente di questa situazione. Tuttavia, essendo ora subentrata da una parte una sorta di assuefazione o rassegnazione e dall’altra una prospettiva di convivenza con il virus; i riferimenti all’esperienza collettiva vissuta sanno già di stantio e non hanno mantenuto la pregnanza che forse si immaginavano gli autori.

Il testo euripideo è pesantemente scarnificato e ridotto a una serie di monologhi; viene infatti soppresso il dialogo iniziale fra Poseidone e Atena e il personaggio di Menelao nel finale, trasformando la disputa a tre intorno alla figura di Elena sostanzialmente in due monologhi. Il coro non è presente ma sostituito da alcune brevi registrazioni e da immagini proiettate di donne, immaginiamo le nostre Troiane, collegate via piattaforma telematica. Sopra e sotto scorrono scritte in stile “aeroporto” con i versi del coro sia in italiano che in greco antico. In realtà le donne che si vedono nelle immagini in bianco e nero non parlano, sono figure mute, e il tutto risulta immediatamente statico e ripetitivo.

Nella tragedia greca il coro è fondamentale sia drammaturgicamente che spettacolarmente; sopprimerlo, senza una valida e altrettanto forte idea in sostituzione, riduce lo spettacolo ad una serie di monologhi intervallati da brevi dialoghi. Ne deriva l’appiattimento del prodotto scenico sul canone letterario dei versi euripidei, inarrivabili come letteratura, ma inefficaci a teatro se non supportati da una valida e drammatica creazione scenica che in questo caso è la vera opera d’arte, non il testo in sé.

Resta dunque fuorviante l’idea estetica che basti mettere in bocca della grande letteratura ad un attore per avere un prodotto artistico, il “tutto scenico” – Wagner direbbe il “Gesamtkunstwerk” - è fondamentale e ineludibile. Altrimenti si ottiene una messa in scena che sembra una lettura scolastica per licei classici. (fra l’altro presenti, visibilmente e sonoramente annoiati)

Per il resto l’allestimento è cupo e ferale. Le protagoniste si aggirano in uno spazio scarno, ove troviamo un letto, una scrivania, due sedie, uno scrittoio a lato, una poltrona con appoggia piedi, un water (?) e un cavallino a dondolo. (Scene di Matteo Patrucco) Il tutto inquadrato fra quinte nere. Ecuba utilizza una sedia, Andromaca il letto, Taltibio entrando tocca il cavallino a dondolo, ma tutto risulta inutile, casuale riempitivo senza alcuna pregnanza drammaturgica. Anche i costumi di Ilaria Ariemme non vanno oltre un volonteroso trovarobato.

Andrea Chiodi cerca di accentuare il lato tragico, scadendo però in un eccesso di tragicità che appesantisce tutta l’operazione. L’idea di dare ad Elena un risvolto più ironico, viene infatti presentata collegata via zoom e proiettata sullo sfondo, non basta a risollevare l’atmosfera funerea infusa nello spettacolo. Spiace dirlo, ma tutti sembravano “fare la tragedia”, accentuando i toni, rallentando con pause e sospiri, oppure aggiungendo variazioni tecnico vocali da grande teatro del tempo che fu. Anna Marchesini fece negli anni novanta una illuminante parodia del “tragico teatrale” che purtroppo gli autori e gli interpreti dello spettacolo o non hanno visto o hanno dimenticato.

Tutti gli attori risentono dell’impostazione generale e non brillano in una recita che abbiamo percepito come di routine: Elisabetta Pozzi, Graziano Piazza, Federica Fracassi, Francesca Porrini, Alessia Spinelli.

Poco pubblico al Teatro Storchi, nonostante diverse scolaresche; applausi di cortesia nel finale.

Raffaello Malesci (27 Gennaio 2022)