Recensioni - Teatro

Un Amleto di qualità a Innsbruck

Efficace messa in scena del capolavoro shakespeariano al Tiroler Landestheater

Amleto entra nel repertorio del teatro stabile della capitale tirolese con una nuova messa in scena, curata dal duo registico composto da Amélie Niermayer e da Jana Vetten, a cui sono affidate anche le coreografie. Scene e costumi, di essenziale semplicità, sono di Stefanie Seitz.

La scarna essenzialità della messa in scena non inficia minimamente l’efficacia della tragedia, magistralmente interpretata da un gruppo di attori coinvolti e affiatati. In scena una grande pedana inclinata, che diventa, nel corso della rappresentazione, sempre più obliqua costringendo, non solo simbolicamente, gli attori su un terreno via via più scivoloso. La scena è poi completata da un efficace gioco scenico meta teatrale, ove compaiono ricchi fondali e sipari dorati che inquadrano un teatro nel teatro all’arrivo al castello della troupe di attori.

La drammaturgia, affidata a Christina Alexandris e a Diana Merkel, sfronda la pièce senza stravolgerla e mantiene l’accento in particolare sul gioco teatrale a cui viene dato particolare risalto. Infatti Amleto dice per intero la propria famosa raccomandazione recitativa agli attori e il gioco del teatro nel teatro è accentuato da un divertente monologo affidato a Polonio sull’odierna mania del teatro “politically correct”.

Efficace anche l’idea di affidare la parte del fantasma ad un Re rocchettaro con tanto di basso, che invece di recitare la propria parte la canta, sottolineando la propria potenza ultraterrena con paurosi accordi tonitruanti. Ofelia poi non è la solita eroina slavata, ma una ragazza moderna alle prese con il gioco amoroso sfrontato di Amleto. Giusta in questo senso la scelta di non farla semplicemente sparire, ma di affidare a lei stessa il racconto della sua morte, normalmente interpretato da Horatio.

Per il resto il dramma è declinato anche sugli accenti ironici, esaltando coerentemente e con bravura il gioco polimorfo sempre presente nel teatro di Shakespeare. Perciò si ride, si ironizza, si gioca con gli equivoci fra Rosencrantz e Guilderstern (e qui si vede una sottile reminiscenza di Tom Stoppard). Amleto a tratti si rivolge al pubblico in un alternarsi sempre scoperto fra teatro, finzione e realtà scenica.

Questo però non fa dimenticare la tragedia che arriva amara e improvvisa nel finale, e a cui la regia imprime una vertiginosa velocità su una pedana ormai quasi verticale. Tutto avviene all’unisono e, dalla morte di Rosencrantz e Guilderstern fino al tragico epilogo, le uccisioni si susseguono veloci e i corpi scivolano uno dopo l’altro nella buca orchestrale, da cui poco prima è sbucato il becchino che, olimpico e inesorabile, sovrintende al massacro.

Grande qualità di messa in scena associata ad un’ottima preparazione degli attori. A partire dal giovane Amleto di Phillip Henry Brehl, che fa in un lampo dimenticare i vecchi Amleti affidati ad attori ormai anziani – ma è una caratteristica del teatro italiano – e ci conduce in una girandola fisica e vocale varia, accattivante, emozionale, sempre calibrata ed efficace. Al suo fianco risaltano in particolare il Polonio ironico e gaglioffo di Raphael Kübler, il Laerte fisico e coinvolto di Tim Bülow e il Rosencrantz ambiguo e allampanato di Kristoffer Nowak. Jan-Hinnerk Arnke e Antje Weiser, rispettivamente Claudio e Gertrude, delineano una coppia più classica e impostata, ma sempre di grande efficacia. Deborah Barbieri è un’Ofelia molto fisica che ben caratterizza l’originalità del suo personaggio in questa messa in scena. Ottimo anche tutto il resto del cast: Ian Fisher, Joyce Sanhà, Marion Fuhs e Edith Hamberger.

Grandi applausi nel finale per un Amleto di qualità.

Raffaello Malesci (17 marzo 2023)