Recensioni - Teatro

Un gabbiano più ironico che drammatico

Il capolavoro di Anton Cechov nell’allestimento del Teatro Stabile di Genova nella stagione del CTB

Questa nuova edizione del Gabbiano, che recupera il testo integrale, comprese le scene soppresse dalla censura zarista, cerca nella sua impostazione dimettere in luce quella componente di ironia che è comunque insita nella scrittura. La regia di Marco Sciaccaluga opta per un’impostazione classica, sottolineata dalle semplici ma efficaci scenografie e di Catherine Rankl, in cui il groviglio di sentimenti, passioni infelici, tradimenti, che caratterizza tutti i personaggi viene alleggerito grazie ad una recitazione che cerca di stemperarne la drammaticità.
Trigorin, Il grande poeta da tutti stimato, è in realtà un inetto, che per ingannare la noia conquista la giovane Nina. Stefano Santospago ne riveste l’indolenza con una sorta di divertito autocompiacimento, che si traduce a volte in una recitazione un po’ sopra le righe ma sempre calzante e coerente con l’interpretazione. Al suo fianco una magnetica Elisabetta Pozzi conquista per la lievità con cui affronta l’egocentrismo del personaggio di Irina, al punto da farle ispirare in più di un’occasione simpatia. Alice Arcuri è una Nina a tratti discontinua, mentre Francesco Sferrazza Papa coglie con grande sensibilità i tormenti del giovane Konstantin, ed infatti le sue scene con la Pozzi coincidono con i momenti in cui questo Gabbiano vola più in alto. Tra gli altri interpreti spiccano l’intensa Polina di Elsa Bossi, la rassegnata Maša di Eva Cambiale, il malinconico Sorin di Federico Vanni e l’impenitente Dorn di Roberto Serpi.
Ottimo successo di pubblico decretato da applausi calorosissimi.

Davide Cornacchione 14/03/2019

 

È un Gabbiano giocato sul filo dell’ironia quello prodotto dal Teatro Stabile di Genova ed andato in scena sul palcoscenico del Teatro Sociale di Brescia all’interno della stagione del Centro Teatrale Bresciano.
Anton Cechov, nelle sue lettere, spesso lamentava il fatto che gli interpreti non cogliessero il lato umoristico delle sue opere, di cui al contrario veniva esaltato solo il lato drammatico. Per il suo ultimo capolavoro, il Giardino dei ciliegi, il drammaturgo dichiarò di essersi ispirato al genere del vaudeville, ma anche in questo caso la regia di Konstantin Stanislavsky impresse alla rappresentazione un taglio totalmente diverso che poi è quello che si è tramandato nel corso dei decenni.