
Ospitato al Teatro alle Tese, nell’Arsenale, il riallestimento dell’opera di Richard Foreman firmato Elizabeth LeCompte-Kate Valk
Symphony of Rats, presentato in prima europea, è lo spettacolo che sabato 31 maggio ha aperto il 53° Festival Internazionale del Teatro all’Arsenale di Venezia.
“Theater Is Body, Body Is Poetry”, rassegna diretta quest’anno da Willem Dafoe, celebre attore americano di acquisita cittadinanza italiana, ha celebrato nella sua apertura il teatro sperimentale a stelle e strisce degli anni Ottanta proponendo al pubblico quella che fu un’opera visionaria creata da Richard Foreman – morto lo scorso gennaio, Foreman fu definito da Franco Quadri “uno dei cavalieri dell’apocalisse scenica”. Nel 1988, per l’evento si unirono l’Ontological-Hysteric Theater di Foreman, autore del testo e regista dell’allestimento, e il Wooster Group di Elizabeth LeCompte, nato dalle ceneri del Performance Group di Richard Schechner, dopo che il teorico del nuovo teatro americano aveva dichiarato conclusa l’esperienza della sua compagnia e con essa l’avventura dell’avanguardia teatrale.
Il riallestimento proposto a Venezia, a quasi quarant’anni di distanza, è stato firmato da LeCompte insieme a Kate Valk, che fu tra gli interpreti della versione originale. Una “creatrice di teatro”, così si è definita LeCompte, alla quale la Biennale a Ca’ Giustinian ha consegnato il giorno successivo il Leone d’oro alla carriera. Ora ottantenne, fondatrice del newyorkese Wooster Group insieme a Spalding Gray e allo stesso Dafoe intorno alla metà degli anni Settanta, LeCompte con Valk ha dato vita a un’operazione dichiaratamente nostalgica, facendo tesoro dei mezzi tecnici del presente e inserendo all’interno dello spettacolo dei riferimenti alla situazione politica attuale degli Stati Uniti, con i suoi personaggi cardine (evocati Trump e Musk). L’insieme è stato ambientato in uno scenario che parla di un disorientamento e di un’alienazione globali, cosmici si potrebbe dire, se non fossero del tutto terreni e terrestri. “Abbiamo creato una messa in scena che riflettesse il fermento e la topografia della nostra immaginazione di gruppo: palloni, canzoni, video, film, dipinti, oggetti riciclati dal nostro lavoro passato e strumenti di intelligenza artificiale nascenti”, ha spiegato a conferma dell’intento LeCompte.
La scena è in immersione in una dimensione surreale, dove coesistono schermi avveniristici e il rigore delle geometrie con elementi scolastico-museali, scrivanie da ufficio, palle-pianeti di varia foggia, una comoda da ospizio, elementi che ricordano un’astronave ma anche uno studio d’artista… uno spazio mentale. In apertura, il Presidente degli Stati Uniti (Ari Fliakos) prende la parola e dice che gli hanno iniettato un vaccino antinfluenzale, cita il Covid, si sente febbricitante e vede volare frammenti delle prove dello spettacolo, aggiunge che ha ricevuto dei segnali misteriosi dallo spazio e che ha di fronte la missione “possibile” di salvare l’umanità. Seguirà la rappresentazione di un crollo mentale e di un viaggio lisergico insieme, entrambi rivelanti, ciascuno a suo modo, la fragilità dell’umano al potere, a contatto coi fantasmi delle comuni paranoie e paure collettive. Tra le visioni e le apparizioni: figure animate dall’IA, un dottore-scienziato un po’ licantropo (Jim Fletcher), un folletto digitale (Niall Cunningham), una sorta di vecchio dio-moneta affacciato a un canestro, la donna androgina, creature che popolano un universo mentale in dissoluzione. Gli altri interpreti: Andrew Maillet, Tavish Miller, Michaela Murphy e Guillermo Resto. Forte nella “sinfonia” la presenza di video e sound design, un’invasione, quest’ultimo realizzato a “quadri sonori” disturbanti, a disegnare un’Era dominata dalla tecnologia e dalla frammentarietà – mentre qualcuno gioca a palla con il mondo.
Si assiste a un lungo viaggio dai connotati ipertecnologici che ormai sono quotidianità, prodotto da una mente alterata in un mondo alterato, consapevoli che non hanno nessuna importanza né risposta, o meglio, ne hanno un’infinità riconducibile al niente, i perché dello stato di alterazione. A un certo punto fa la sua apparizione una battuta “Sforzo spirituale?” e la si traduce nei fatti sul palco in uno sforzo sfinterico che partorisce il nulla che siamo dalla comoda, a ribadire che per troppi aspetti costituenti, “il Presidente” delle stelle, e delle strisce (se vogliamo), è sempre uno di noi.
Giustamente stranianti scenografie e costumi, curati dalla stessa LeCompte con Antonia Belt – del resto, siamo nella testa iper ossigenata che orbita tra sogno e realtà del Presidente. Per l’appunto: nel riallestimento attuale, si vaga nell’attesa di cogliere citazioni colte e riferimenti all’odierno, con rimandi riconoscibili a Donald Trump e al suo ricchissimo (ex) consigliere miliardario che guarda allo spazio. Nulla tolto alla riuscita formale della messinscena, né alla bravura degli interpreti, l’operazione oltre che dichiaratamente nostalgica risulta negli effetti di stampo marcatamente intellettuale, per cui “corpi e poetica” in scena non emozionano né stupiscono, vivono come appartenenti alla dimensione estetica, rimangono per tutto il tempo nelle orbite della rappresentazione. L’Apocalisse di cui in realtà si parla resta su uno sfondo, come proiettata a pixel, e del tutto senza qualità, ma già lo sappiamo, gli umani che hanno alla loro portata il pulsante dell’autodistruzione.