Recensioni - Teatro

Venezia: al Goldoni, ha debuttato Lo zoo di vetro diretto da Pier Luigi Pizzi

Dal celebre dramma di Tennessee Williams, un’Amanda con un tocco di italianità, interpretata da Mariangela D’Abbraccio

Dal 18 al 21 aprile, il Teatro Goldoni di Venezia ha ospitato il debutto di Lo zoo di vetro, capolavoro scritto nel 1934 da Tennessee Williams, proposto nella versione tradotta da Gerardo Guerrieri diretta da Pier Luigi Pizzi.

La produzione firmata Best Live e Teatro Stabile del Veneto–Teatro Nazionale, vede come protagonisti sul palco Mariangela D’Abbraccio nelle vesti di Amanda Wingfield, Elisabetta Mirra (sua figlia, la fragile Laura), Gabriele Anagni (Tom, il figlio e narratore) e Pavel Zelinskiy a interpretare Jim, il giovane amico di Tom. Un quinto personaggio è in scena in ritratto, da indicazioni drammaturgiche di Williams, ed è un padre di famiglia poco padre di famiglia bello e inquieto, immortalato sulle pareti del tempo. È una presenza ingombrante, quella di colui che abbandonò moglie e figli piccoli per inseguire i suoi sogni in giro per il mondo (uno che “si innamorava facilmente delle distanze”).

L’ambientazione ricreata sul palcoscenico dal regista milanese, che come sua consuetudine ha curato anche scene e costumi, parla di una casa piccolo borghese americana degli anni Trenta: nell’interno famigliare raffigurato prevale un giallo che non dà luminosità, un oro spento come sono spenti i sogni d’oro (ovvero amorosi ma non solo) che hanno abitato tra quei muri; fra due divani chiari, al centro della scena sta una tavola da tutti i giorni che si vestirà a festa e sarà imbandita a un certo punto per niente, finirà delusa anche lei; agli antipodi, sulla sinistra si apre una finestra alla quale si affacceranno non viste la pioggia e più tardi la luna (efficaci gli effetti cinematografici luci-ombre guidati da Pietro Sperduti); sulla destra, una vetrinetta contiene lo zoo di vetro di Laura, in gabbia fa mostra di sé una collezione di animaletti fragili e lucenti, che brillano siderei in un mondo di belle addormentate; completano l’allestimento un pianoforte verticale e l’angolo dei vinili di papà. Le musiche originali, composte da Stefano Mainetti, hanno accompagnato dall’inizio la rappresentazione, aperta come prescritto da note di violino.

La vicenda del dramma è nota, parla in sintesi di aspettative e di desideri infranti, e lo fa attraverso la storia di una donna americana abbandonata dal marito, che — poveretto anche lui — da giovane era incappato senza volerlo nelle gabbie costruite ad arte dalla società “perbene” di allora (e non solo) e aveva sposato una delle ragazze che gli piacevano (il resto arrivo rapidamente, portato a destinazione da un vecchio tram).

Amanda deve far crescere da sola i due figli, ha a che fare con incombenze da madre di famiglia e con il ballo delle bollette, è una donna che ancora desidera fortemente qualcosa dalla vita, ma lo fa malamente, attraverso i figli. Laura zoppica a causa di una malattia che ha avuto da piccola, e si è chiusa nel suo mondo fatato; Tom scalpita, ha un temperamento poetico, gli amici lo chiamavano Shakespeare, lavora guarda caso in una fabbrica di scarpe. Tom prova a “rimediare” aiutando a tratti e maldestramente madre e sorella (presenterà senza troppa cura un pretendente a quest’ultima), ma alla fine metterà le ali ai piedi, non proprio “dolci ali da giovinezza”, e seguirà le orme del padre in fuga dallo zoo di vetro, tra panorami dai riflessi verde-bottiglia da rimirare in solitaria.

È Tom a narrare i fatti, e Anagni, giovane attore noto anche al pubblico della tv e delle fiction, lo interpreta con misura e partecipazione, saltabeccando qua e là nello spazio scenico quando fa il figlio e la voce ben ferma, profonda, quando “scrive” e si rivolge direttamente a chi sta fuori scena. Elisabetta Mirra dà invece a Laura per gran parte del dramma una vocetta dai tratti isterici, a simulare un disagio quasi da corsia; solo conversando con Jim fa intravvedere la dolorosa ma bellissima naturalezza che deve appartenere a chi alleva con amore animaletti di vetro. Pavel Zelinskiy, attore romano di origine russa, sta in equilibrio con sicurezza sul sottile filo del rasoio davvero affilatissimo su cui Williams fa camminare Jim, il ragazzo già fidanzato che generosamente inietta alla storpia innamorata una dose di vitalità, rubandole/regalandole un bacio.

Mariangela D’Abbraccio, che non ha bisogno di presentazioni e che ha già interpretato in passato una delle donne da tragedia di Williams, dà a una protagonista che qui del tutto non lo è, Amanda, una fisionomia di madre riconoscibile e verosimile, inanellando una sequenza di toni e gesti affettuosi ma a tratti morbosi, confortanti ma anche frustranti, teneri e avvolgenti ma in fondo ansiosi. Le case con quarta parete sono abitate principalmente da esseri che conducono vite per procura di cui sono protagonisti i figli, così appare, e anche questa abitazione tinta oro-spento, una coltre sollevata, non è da meno. Ma Amanda (sì, proprio Amanda) quando indossa senza bisogno di allentare le cuciture il vestito che le ricorda il primo ballo, quello che la fa sentire giovane, e quando quasi corteggia il ragazzo che potrebbe essere un pretendente per Laura, è più donna che madre, travalica la prole, la scavalca famelica di vita. L’attrice napoletana dà a questa inquietudine un carattere più maturo, più “italiano”. Anche le note aspre del risentimento contenute in certe battute risultano in fondo addolcite, perdonata ogni cosa per le circostanze che “una madre” ha vissuto — il che, ha una portata ancor più drammatica, a ben vedere.

A fine spettacolo, a ricevere gli applausi calorosi del pubblico del Goldoni, è stato chiamato anche Pizzi, classe 1930, che è comparso elegantissimo, con sé tanta bella storia dell’arte, della letteratura e dello spettacolo del Novecento.