Recensioni - Teatro

Verona: Una Tempesta in biblioteca

Preziosa e densa edizione a cura di Luca De Fusco al Teatro Romano

L'Estate Teatrale Veronese 2019 apre con una bella edizione de “La Tempesta” da William Shakespeare portata in scena dal Teatro Stabile di Napoli per la regia di Luca De Fusco.

De Fusco compie per questa messa in scena scelte molto nette a cominciare da una riduzione notevole del testo che viene sforbiciato e portato ad un atto unico di 1 ora e 45 minuti. Coadiuvato dalle scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta, De Fusco ambienta l'ultima opera shakespeariana in una biblioteca zeppa di libri e di quadri che costantemente cambiano grazie alle sapienti installazioni video di Alessandro Papa.

La biblioteca funge da contenitore onirico delle magie, vere o presunte, di Prospero, Eros Pagni, che viene immaginato come un intellettuale dei primi del novecento perso nei suoi libri e forse nei suoi sogni. Infatti non vi è nella regia la minima concessione naturalista all'isola della tempesta e agli accadimenti esotici che tanta parte hanno nel teatro di Shakespeare: alla fine del cinquecento non c'era niente di più esotico per gli inglesi che Napoli, Milano e lo sconosciuto mare mediterraneo dove tutto poteva accadere. La tempesta viene accennata con delle immagini che paiono la proiezione delle fantasie di Prospero e tutti i personaggi del dramma entrano immobili su di un nastro trasportatore, quasi fossero figurine, burattini creati dall'immaginazione del mago intellettuale. Coerentemente a questa visione lo spirito Ariel, Gaia Aprea che riveste anche il ruolo di Calibano, altro non è che l'attempato maggiordomo del nostro studioso, che poi si trasforma anche nel perfido Calibano con chiari rimandi a più contemporanee letture psicologiche.

Possiamo infatti scomodare tranquillamente “Dottor Jeckill e Mister Hayde” di Stevenson, ma anche il “Ritratto di Dorian Gray” di Wilde, apparendo spesso e volentieri Prospero e Calibano in un grande quadro centrale situato al piano rialzato della scena in un continuo gioco di specchi, scambi e rimandi ambientato in una specie di tempio zeppo di libri e di arte, tanto che la recitazione volutamente spaesata e a tratti maniacale del protagonista non può non far venire in mente anche il Peter Kien del grande romanzo di Elias Canetti: “Autodafè”. Sicuramente non è un caso che i servi di Prospero siano impersonati en travestì da una donna, che quasi disturba, come la Therese Krummholtz di Canetti, la “montagna incantata” in cui si è ritirato lo studioso e mago Prospero.

Lettura interessante insomma quella di De Fusco e piena di spunti. La regia segue questo filone fino in fondo, stagliando sempre i personaggi in pose nette e formali, facendoli entrare e uscire dal nastro trasportatore come marionette animate della mente di Prospero. Lo spettacolo è sempre di alto livello e De Fusco tenta giustamente di alleggerire lasciando spazio ai comici e ad alcune canzoni che simboleggiano e rappresentano la magia attuata da Prospero in quest'isola che altro non è se non il parto senile della sua fantasia. E qui il riferimento a Marilyn ci riporta ad un'altra citazione di voyeurismo erotico quasi Schnitzleriano. Tuttavia il rigore della scelta porta in alcuni punti ad appesantire lo spettacolo che a tratti risulta statico, in particolare nello svolgimento delle trame secondarie. Alla fine Prospero decide di spezzare la sua bacchetta magica e di abbandonare la sua biblioteca, che sprofonda, insieme ai suoi sogni, lentamente in mare.

Senza più libri non esiste più niente e la magia della fantasia si liquefà in mare oscuro, proprio perché “siamo fatti della stessa materia che sono fatti i sogni” e senza sogni fantastici non possiamo vivere. Così tutto rimane buio, e resta un vecchio attore, solo, al limite del palcoscenico a recitare, quasi senza convinzione, un epilogo forse senza speranza.

Una lettura di assoluta eccezione. Grandissima prova di Eros Pagni che interpreta Prospero come raramente si è potuto vedere negli ultimi anni, calibratissimo, attento, intenso e totalmente compreso nell'idea registica. Pagni riesce a condire la senilità di Prospero con gli accenti della nevrosi e della malinconia declinate con un sapiente gioco “a togliere” e senza mai scadere nel facile effetto. Ottima anche Gaia Aprea nel doppio personaggio di Ariel e Calibano. L'attrice dimostra ormai una piena maturità e disegna due personaggi sempre a fuoco, primeggiando nel “maggiordomo” Ariel che può benissimo rivaleggiare con l'Albert Nobbs di Glenn Close. Professionali e corretti tutti gli altri interpreti fra cui spiccano i due comici Gennaro Di Biase (Stefano), Alfonso Postiglione (Trinculo). Una menzione anche per l'attento e musicale Paolo Serra (Antonio).

Il Teatro Romano, per la verità non molto pieno, ha tributato calorosissimi applausi a tutti gli interpreti nel finale.

(R. Malesci 29/06/19)