Recensioni - Teatro

Verona: un adulterio lungo venticinque anni

“Alla stessa ora l’anno prossimo” la nota pièce di Bernard Slade presentata dallo stabile veronese

Continua la stagione di prosa al Teatro Nuovo di Verona con una celebre pièce del drammaturgo canadese Bernard Slade: “Alla stessa ora l’anno prossimo” (Same time, next year) per la regia di Antonio Zavatteri.

Il testo, del 1975, fu un successo dirompente a Broadway, al Brooks Atkinsons Theatre con Ellen Burstyn e Charles Grodin, restando in cartellone per ben quattro anni e totalizzando 1453 rappresentazioni. Nel 1978 ne venne anche fatto un film con la regia di Robert Mulligan.

Viene narrato un amore adulterino durato venticinque anni. Doris e George, entrambi sposati e con figli, si incontrano casualmente in un bar nel nord della California e si lasciano coinvolgere in una liaison fatta di sesso e confidenze, che diventa un appuntamento annuale fisso. Stessa ora, stessa stanza d’albergo, un anno dopo l’altro, la pièce dipana allegramente la storia americana con i suoi cambiamenti politici, sociali e di costume, alternando una comicità intelligente, mai volgare, a sferzate sentimentali e a tratti tragici. Così si passa, da un quadro all’altro, dalla rassicurante immagine della donna anni cinquanta, agli eccessi hippie del sessantotto, fino ad arrivare al benessere insicuro e all’arrivismo degli anni settanta.

Non cambia la stanza di albergo, che diventa una sorta di immutabile capsula del tempo, cambiano i protagonisti: nell’abbigliamento, nelle preoccupazioni, negli atteggiamenti, nelle circostanze della vita. Dai loro racconti si intravede il mondo fuori da quella stanza di albergo: il movimento pacifista durante la guerra del Vietnam, le elezioni presidenziali - viene citato Barry Goldwater, lo sfidante di Johnson alle elezioni del 1965 - il figlio di George che muore nella guerra del Vietnam. Il tempo viene anche scandito musicalmente, con il mutare delle canzoni che accompagnano gli intermezzi, in cui una cameriera muta e indifferente rassetta la stanza. A tratti abbiamo quasi il racconto di una famiglia impossibile, forse desiderata, che raggiunge il parossismo ironico quando Doris, nuovamente incinta, partorisce proprio nella stanza dell’albergo, aiutata da George, catapultato all’improvviso nel ruolo di padre.

Un grande testo questo di Bernard Slade, emozionale, arguto, calibrato; con quella dolente nota nostalgica che accompagna l’invecchiare dei protagonisti, il rafforzarsi del loro rapporto, la gioia di un rapporto a distanza che riesce a sospendere, per un fine settimana, la disperante normalità di una vita di routine grazie all’abbandono sessuale, unito ad un racconto di eventi ed emozioni distillati dalla lontananza.

Una lontananza reale, fisica, priva di comunicazione, che, oggi, non può non rimandare a certi eccessi comunicativi indotti dalle nostre piattaforme sociali. In Slade gli amanti lontani si ritrovano per condividere; oggi spesso gli amanti vicini o lontani sproloquiano senza in realtà condividere alcunché. Nell’ultima scena la moglie di George è venuta a mancare e lui propone a Doris di sposarlo; lei rifiuta: non è possibile rompere l’incanto. George capisce e i due rimangono quello che sono: una coppia di amanti clandestini. È questo che li rende unici e felici.

La messa in scena di Antonio Zavatteri viaggia sui sicuri binari della classicità, impostando uno spettacolo sostanzialmente piacevole, a cui manca tuttavia l’attenzione al ritmo incalzante, fondamentale per un testo anglosassone, e quel tanto di inventiva che permetta di uscire da una lettura puramente didascalica. Le scene di Laura Branzi, una spoglia e anonima stanza di albergo, sono tanto funzionali e scarne da risultare addirittura scontate. I costumi di Francesca Marsella seguono il cambiare della moda nel corso degli anni, senza tuttavia brillare per inventiva. Alessia Giuliani e Alberto Giusta interpretano Doris e George con impegno e naturalezza, si fanno ascoltare e portano bene a casa la serata. Certo avrebbe giovato una maggiore precisione ritmica, così come una maggiore varietà fra i personaggi giovani e quelli vecchi, che invece risultavano nel complesso identici. Alessia Giuliani riesce ad essere più efficace sul comico, ove Alberto Giusta si ritaglia un carattere più flemmatico e caustico, puntando in particolare sulle battute ad effetto.

Il pubblico veronese ha apprezzato la proposta applaudendo con convinzione a fine serata.

R. Malesci (01/12/2021)