Recensioni - Opera

“La macchina del Capo”: tante risate e applausi al Teatro Nuovo di Verona

Uno spettacolo frizzante e spassosissimoin cui il mattatore Marco Paolini ha saputo appassionare, coinvolgere ed intenerire il pubblico

“Tutto esaurito da due mesi”: queste le parole alla biglietteria del Teatro Nuovo per lo spettacolo “La Macchina del Capo” di Paolini, per la rassegna “Grande Teatro”. Nessuno stupore di fronte a tanta affluenza, dato che l'opera del comico è andata anche in onda sulle reti nazionali, ottenendo moltissimi consensi.
Dopo un'interruzione dovuta allo squillo di un cellulare e la conseguente esortazione dell'attore ad avere rispetto sia per chi è in scena, sia per gli altri componenti del pubblico, Paolini si immerge nei ricordi della sua infanzia, raccontandoli come se si trovasse di fronte a degli amici.

Affiorano così le avventure del piccolo Nicola, un bambino “prealpino” alle prese con la società degli anni Sessanta, con la scuola della pianura severa, con le aspettative poi disattese dei genitori, ma anche con i giochi, con gli amici ed infine anche con le ragazze. La peculiarità però sta nel fatto che tutti questi racconti vengono snocciolati partendo da un dettaglio, che è balzato agli occhi del bimbo e gli si è fissato nella testa in maniera indelebile. Protagonisti a scuola sono i buchi sulle pagine, causati da un'eccessiva cancellatura, mentre nella casa natale è la “mansarda proibita” a suscitare la curiosità del bimbo, tanto che, convinto dal cugino di poter vedere il mare, disobbedisce alla regola dei genitori e, superando la paura di essere catturato da “l'uomo nero”, vi si reca trovando con meraviglia una grande quantità di mele succose ammucchiate. Nella memoria di Paolini non poteva mancare l'odore dei freni del treno, legato a numerose vicende della sua infanzia e che rimanda alla figura del padre ferroviere.
Il piccolo Nicola, passo dopo passo, è accompagnato dagli amici, suoi compagni di scuola, che emergono per le loro strambe caratteristiche: dal matto Piero, che combina una marea di guai, al pauroso Cesarino, incapace di fare qualsiasi cosa, fino a raggiungere il ricco Gian Vittorio, riconoscibile per la sua “r” moscia.
Strepitoso Paolini nel narrare della vacanza estiva in colonia a Cattolica, esperienza tragica, ma comune a molti ragazzi dell'Italia degli anni '60, di cui l'attore enfatizza principalmente 3 elementi: prima di tutto l'infatuazione per la Signorina Susanna, responsabile del gruppo, che lascia tutti i fanciulli a bocca aperta, tanto da apprezzarla con il termine “toga”; secondariamente la delusione derivata dalle condizioni del dormitorio, che viene paragonato all'attuale Centro di permanenza temporanea; infine la miseria dei pasti forniti, sempre uguali, tranne durante le visite dei genitori.
La scenografia appare molto semplice, ma di effetto: a destra un banco di scuola in legno,  a sinistra una matita, la tipica gomma rotonda e blu, utile per cancellare l'inchiostro, e un cancellino per la lavagna, mentre sul fondo, appesi tramite dei fili, mossi a piacimento da Paolini, dei vestiti, tra cui una t-shirt, dei pantaloni corti e un paio di calzini di spugna. Tutti elementi che possono apparire scontati date le tematiche trattate, se non per il fatto che sono stati ingigantiti in maniera spropositata, proprio come li percepisce un bambino.
Molto particolare la scelta di inserire un accompagnamento musicale dal vivo, con la chitarra e la voce calda e rassicurante di Lorenzo Monguzzi, che, oltre ad allietare con sottofondi che ben si amalgamano alla ripartizione delle scene, ha contribuito ad arricchire lo spettacolo con mimica e gesti.
Uno spettacolo frizzante e spassosissimo quello di Paolini, che ha saputo coinvolgere, appassionare ed intenerire il gremito e più che mai eterogeneo pubblico del Teatro Nuovo, che si è interamente immedesimato nelle avventure del piccolo Nicola.


Stefania Malesci (18/02/2010)