Recensioni - Opera

A Innsbruck un Falstaff negli anni cinquanta

Efficace e sobria messa in scena di Tobias Ribitzki con una buona compagnia di canto

Continua fitta di appuntamenti la stagione lirica al Tiroler Landestheater (il Teatro di stato Tirolese), con una riuscita messa in scena di Falstaff di Giuseppe Verdi, per la regia di Tobias Ribitzki, scene e costumi di Stefan Rieckhoff e disegno luci di Florian Weisleitner.

Regista e scenografo trasportano l’ambientazione negli anni cinquanta del novecento, impostando una messa in scena sobria ed elegante, che lascia sostanzialmente inalterata la drammaturgia dell’ultimo capolavoro verdiano.

Il tutto avviene su una sghemba pedana lignea inclinata, che campeggia al centro del palcoscenico. La pedana è vuota, pochi arredi, una poltrona per il grasso cavaliere, qualche sedia, un paravento, una botola. Tre grandi pareti mobili incorniciano la scena, decorate ad arazzo, sobrie, sui toni del grigio, lampadari da albergo richiamano in qualche modo l’osteria della giarrettiera. I costumi fondono tutte le nuances del grigio, del bianco e del nero. In questo mondo di sfumature cineree risalta la rossa vestaglia di Falstaff e successivamente il suo improbabile completo di velluto rosso con cui si mette in ghingheri per corteggiare le allegre ma rigorose Comari di Windsor.

Quella di Ribitzki è una regia di ambientazione: cambia l’epoca ma non cambia la storia né il senso degli avvenimenti. Buono il lavoro sugli attori cantanti, con diverse belle trovate e soluzioni pratiche ed efficaci. Come nella scena della cesta dei panni, ove Falstaff, invece che finire nel Tamigi, viene cosparso di detersivo in polvere di una nota marca anni cinquanta. Il regista si trova molto a proprio agio nelle scene con pochi personaggi, meno con il coro, che a tratti è parso troppo ammassato, in specie nel complesso finale dove le soluzioni erano eccessivamente classiche e scontate. Apprezzabile la sobrietà che evita il ricorso al naturalismo e concentra la storia intorno all’essenziale della drammaturgia. Certo niente di soverchiamente originale: una messa in scena accurata e piacevole.

Ottima la compagnia di canto in cui si distinguono i due baritoni protagonisti: Falstaff e Ford. Il primo era Claudio Otelli, che delinea un personaggio convincente e sfaccettato, di grande musicalità e dagli accenti più malinconici che beffardi. Il secondo era il baritono britannico Jacob Phillips, dalla voce timbrata e imponente, che ci regala un Ford da manuale con un canto teso e calibrato in tutti i registri. La baldanza scenica e l’adesione al personaggio completano una performance davvero di primo livello per lui.

Sul versante femminile spicca la Alice Ford del soprano portoghese Cristiana Oliveira, che unisce ad una voce duttile e ben impostata una presenza scenica concreta e accattivante. Al suo fianco la bella prova di Abongile Fumba, una convincente Mrs. Quickly, che interpreta magistralmente i toni bassi della partitura e la corretta Meg Page di Camilla Lehmeier.

Ottima anche la Nannetta di Anastasia Lerman, dal canto adamantino e sorvegliato. Completa la coppia dei giovani amanti il Fenton di Alexander Fedorov, dotato di voce importante non si è trovato sempre a suo agio nella tessitura della parte. Spicca nel terzetto dei comici il Pistola di Oliver Sailer, a cui si affiancano degnamente il Bardolfo di Jason Lee e il Dr. Cajus di Jakob Nistler.

Buona e attenta la direzione di Matthew Toogood a capo dell’Orchestra Sinfonica del Tirolo.

Franco successo per tutti gli interpreti a fine serata.

Raffaello Malesci (Venerdì 6 Dicembre 2024)