Recensioni - Opera

A Martina Franca Owen Wingrave di Benjamin Britten

Prima assoluta nazionale al Festival della Valle d’Itria

Il Festival ripudia la guerra”. È questo il messaggio veicolato dal Festival della Valle d’Itria, 51 esima edizione, all’inizio di ogni spettacolo; un appello rivolto al mondo che risuona tanto forte quanto più pregnante e profondo è il contesto in cui Arte e Musica prendono forma in un capolavoro. È il caso dell’opera Owen Wingrave, scritta tra il 1969 e il 1970 da Benjamin Britten su libretto di Myfanwy Piper e rappresentata in prima assoluta nazionale nell’atrio del Palazzo Ducale di Martina Franca. L’opera, ispirata al racconto di fantasmi di Henry James, fu commissionata dalla BBC Television e trasmessa nel 1971. Due anni dopo, andò in scena in versione teatrale alla Royal Opera House Covent Garden di Londra.

Erano anni in cui imperversava la guerra in Vietnam e la scena mondiale era segnata dai conflitti della guerra fredda; eventi contro i quali compositori e artisti assunsero posizioni ferme e inequivocabili, non senza desiderare e immaginare un cambiamento, un mondo in cui regnassero pace e armonia. Era il periodo in cui John Lennon lanciava uno speranzoso messaggio di pace componendo una delle sue più belle canzoni: Imagine! E Benjamin Britten, con spirito pacifista e umanitario già dichiarato nel 1942 come obiettore di coscienza: “Ho dedicato la mia vita ad atti creativi, e non posso prendere parte ad atti di distruzione”, ribadiva con quest’opera la sua piena avversione al riarmo globale e la sua convinzione di non poter distruggere la vita umana perché in ogni uomo c’è lo spirito di Dio; e credeva pertanto di poter aiutare il mondo proseguendo il lavoro per il quale era qualificato: la creazione della musica. Già nel passato aveva scritto musica dai toni pacifisti: Pacifist March (1937) e Peace of Britain (1936).

La vicenda narra di un giovane che si ribella alle tradizioni militari che hanno dominato la sua famiglia aristocratica per generazioni e che hanno già causato la morte del padre. Convocato dai congiunti a Paramore, l’antica dimora di famiglia, nonno, zia e fidanzata cercano inutilmente di fargli cambiare idea. Il giovane resta fermo nella sua convinzione sicché il nonno lo disereda. Su Paramore grava un’antica maledizione. Un giovane Wingrave, per aver disonorato la famiglia con la sua codardia, venne accidentalmente ucciso dal padre in una stanza, dove poco dopo l’uomo fu trovato morto senza segni visibili di ferite. Da allora, i fantasmi di padre e figlio infestano il castello. Accusato dalla fidanzata Kate Julian di mancare di coraggio, Owen accetta la sfida di trascorrere la notte nella stanza maledetta dove nessuno aveva più osato entrare. Il giorno dopo il suo corpo viene ritrovato senza vita.

Il tema sollevato dall’opera è sostanzialmente “la libertà” dell’uomo di decidere del proprio destino; di opporsi eroicamente all’ottusità della massa, al pensiero dominante di una società militarista; la libertà dell’individuo di difendere e salvare sé stesso e la società in cui vive dalla distruzione e morte che la guerra procura; la libertà di invocare la “pace” come massima e unica condizione di vita per uno spirito libero. In questo senso, Owen Wingrave è un lavoro quanto mai attuale per i rimandi ai tragici conflitti che segnano la quotidianità a Gaza come in Ucraina.

La struttura musicale risente del pioneristico tentativo del geniale Britten di combinare l’opera con un lavoro per la televisione, sicché il cursus linguistico è adeguato a tale medium di trasmissione. Il flusso sonoro, continuo ma dall’effetto straniante per la lunga serie di cluster dissonanti e le reiterate incursioni di semitono tra il re e il mi bemolle, risente dell’interesse del musicista per il linguaggio seriale e moderno.

La musica non ha un soggetto particolarmente attraente e per una buona parte racconta cosa accade nella mente dei personaggi. Ci sono lunghe scene in cui i personaggi esprimono i loro pensieri con parti simili ad arie d’opera e altre più dense e intrecciate in cui gli stessi cantano quasi simultaneamente, come nei concertati di un finale d’opera. Diffuso è l’impiego del recitar cantando, ovvero dello Sprechgesang, una vocalità a metà tra il parlato e il cantato, inventata da Schoenberg per il Pierrot lunaire. L’organico strumentale è arricchito da una pluralità di percussioni e da risonanti fiati tratteggianti i ritratti degli antenati.

L’opera è in due atti. Caratteristica è la Ballata posta in apertura e chiusura del secondo atto, il cui ritornello “Trumpet blow, trumpet blow, Paramore shal welcome woe”, intonato dal coro di voci bianche, s’ode in alternanza alla voce di un narratore che fuori scena racconta l’antefatto della maledizione gravante su Paramore.

Si apprezza la regìa di Andrea De Rosa, al suo debutto al Festival, impegnato a rappresentare la volontà e l’ostinazione pacifista di Owen con la collaborazione di Pasquale Mari (luci) e Giuseppe Stellato (scene). Due strutture metalliche alte e mobili occupano la scena unitamente a diciotto pannelli raffiguranti anonimi bersagli, quali antenati della famiglia Wingrave. Dietro quei bersagli, che un vero soldato immagina come tanti nemici, di fatto Owen vede donne, uomini e soprattutto bambini che soffrono, muoiono e contro i quali si rifiuta di premere il grilletto. Belli ed eleganti i costumi anni 60-70 di Ilaria Ariemme, dai monocolori colori affini alle caratteristiche dei personaggi. Brava Bruna Punzi nei movimenti scenici atti a rievocare, come figurante, il giovane antenato Wingrave, morto per cause misteriose, nonché alter ego del discendente eponimo in azione con spirito antimilitarista dall’intenso impatto emotivo.

Molto bravi i cantanti, visibilmente concentrati a sostenere il carattere aleatorio e iper ritmico della musica e delle situazioni. Le voci principali sono tutte specializzate nel repertorio inglese a partire dal baritono Äneas Humm nel ruolo del titolo, che restituisce un’interpretazione scenica e vocale di alto livello, come nella fremente invocazione della “pace” simile a un inno. Si fanno apprezzare il tenore Ruairi Bowen (Lechmere) e il basso-baritono Kristian Lindroos, uno Spencer Coyle dall’espressiva prestanza scenica. Completano il cast le interessanti e giovani voci selezionate dall’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”: il soprano Lucía Peregrino (Mrs Coyle) e Chiara Boccabella (Mrs Julian), il tenore Simone Fenotti (General Sir Philip Wingrave) e il bravo Chenghai Bao, nel ruolo del Narratore.

Speciale è la maestria di Daniel Cohen nella lettura di una partitura virtuosistica dal linguaggio estremamente denso, soprattutto nella timbrica strumentale, e pertanto molto impegnativa per lui come per i valenti musicisti dell’Accademia del Teatro alla Scala.

Molto bene ha reso il Coro di voci bianche della Fondazione Paolo Grassi, preparato da Angela Lacarbonara.

Vivo successo per tutti con lunghi applausi e ovazioni del pubblico al termine dello spettacolo!

 

Giovanna Facilla