Recensioni - Opera

A Parma il grande teatro musicale di Bertolt Brecht e Kurt Weill

Messa in scena di grande livello di Ascesa e caduta della città di Mahagonny per la regia di Henning Brockhaus

Un grande finale per la stagione lirica del Teatro Regio di Parma con “Ascesa e caduta della città di Mahagonny” di Bertolt Brecht con la musica di Kurt Weill. Il regista tedesco Henning Brockhaus, già assistente di Strehler e autore della notissima “Traviata degli specchi” affiancato dallo scenografo Josef Svoboda, crea ad alto livello, proiettando la piccola Parma fra le città capaci di produrre spettacoli che reggono il confronto con le massime istituzioni liriche europee.

Weill e Brecht scrivono quest’opera sull’onda del grande successo della “Dreigroschenoper” del 1928. Traggono l’argomento da un loro “Songspiel” – una serie di canzoni collegate - già composte in precedenza, sviluppando una trama con molti riferimenti all’America. Inventano così l’epopea della città di Mahagonny, fondata come “città trappola” (Netzetstadt): una città senza regole, dedita solo al divertimento, creata per attirare uomini in grado di spendere perché, come dice la vedova Begbick, “…potete ottenere più facilmente l’oro dagli uomini che dai fiumi”.

La critica al capitalismo è scoperta, evidente; Brecht non vuole fare teatro di intrattenimento, – il teatro “gastronomico” lo chiama lui – ma incitare alla riflessione, provocare il pubblico, adempiere ad una missione educativa. Mahagonny è una città di squali, nella quale solo il denaro conta e tutto è mercificato. I fondatori sono tre lestofanti in fuga dalla polizia. All’inizio cercano di mettere alcune regole, ma la preoccupazione maggiore pare invece essere il prezzo del whisky e il fatto che alcuni dei “cittadini” scontenti, nonostante il miraggio di un eldorado dei sensi e del piacere, abbandonino la città. Anche poche regole sono troppe.

Ma è nel secondo atto, con l’arrivo dell’uragano, che tutto cambia. La città è minacciata, verrà distrutta; anche le ultime regole cadono e la frenesia del godimento non ha più limiti. Se non che quando mancano tre minuti all’impatto, l’uragano devia miracolosamente e Mahagonny è salva. Questa esperienza spazza via anche le ultime remore morali dei cittadini che si abbandonano ai desideri sfrenati del cibo, del sesso, della boxe e dell’alcool.

Scampato il pericolo dell’annientamento, tutti si abbandonano agli eccessi. I quattro amici giunti in città per spendere i soldi guadagnati con una vita di stenti in Alaska, - Jim, Jack, Bill e Joe – muoiono uno per eccesso di cibo, l’altro ucciso in un incontro di boxe e infine Jim Mahoney, il “tenore” simbolo del personaggio eroico nell’opera “borghese”, viene condannato a morte per non aver pagato il conto. L’ultimo amico rimasto Bill si rifiuta di aiutarlo così come la sua innamorata Jenny Hill, perché l’amore va bene, ma quando si tratta di soldi è un’altra cosa.

Jim Mahoney insomma viene condannato a morte per il reato più grave possibile nella città di Mahagonny: “per mancanza di denaro, che è la più grave colpa, che ci sia sulla terra”.

Brecht e Weill costruiscono l’opera per contrasti, quasi a voler scardinare ogni sicurezza e consuetudine, anche teatrale, della buona borghesia. Infatti la storia d’amore fra Jenny Hill e Jim Mahoney passa ad un piano secondario e in un certo senso odora di retorica, intrisa com’è di forme musicali tradizionali, ma proposte in situazioni assolutamente contrastanti rispetto ad ogni assuefazione e identificazione con i personaggi.

Jimmy muore, ma non in modo eroico. La città è destinata a scomparire. Brecht non prospetta nessuna alternativa, nessuna soluzione, ogni chimera viene derisa e anche la prospettiva di fuggire nell’improbabile Benares non è che una provocazione: appena se ne parla arriva la notizia che Benares è stata distrutta da un incendio.

Restano profetiche le parole di Jim prima di morire: “Sì. Ora ho capito: appena sono arrivato in questa città, per comprarmi coi soldi la felicità, ho firmato la mia condanna. Ora sto qui e non ho ottenuto niente. La felicità che ho comprato non è felicità e la libertà che si compra coi soldi non è libertà. Ho mangiato senza saziarmi, ho bevuto senza dissetarmi. Mi va un bicchiere d’acqua.”

Henning Brockhaus imposta una regia rigorosa, estremamente fedele al dettato brechtiano, seguendo quasi pedissequamente le indicazioni del libretto. Ci presenta dunque lo spettacolo come concepito e voluto da Brecht, con immagini proiettate nei punti indicati dal libretto e la sequela di cartelli tipica del drammaturgo di Augusta. Nessun richiamo formale al coté romantico da vecchio west, cosa che Brecht proibisce espressamente come premessa all’opera. L’unica variazione sostanziale rispetto al libretto è la scelta di sostituire i numerosi cartelli scritti, presenti praticamente ad ogni cambio di quadro, con una sorta di presentatore, Filippo Lanzi, che con voce neutra ne snocciola i contenuti in italiano.

Margherita Palli concepisce una scenografia semplice e congeniale al testo, con una lunga passatoia lignea a mezza altezza e un fondale materico bucato in più punti, da cui sbucano le facce dei coristi in varie scene della vicenda. Non manca neanche la passerella intorno all’orchestra a richiamare i fasti cabarettistici della repubblica di Weimar. Anche Giancarlo Colis, che firma i costumi, gioca con il cabaret berlinese degli anni Trenta, regalandoci una bella varietà di abiti con alcuni richiami anche all’abbigliamento di Brecht stesso.

Un lavoro classico se vogliamo, a tratti addirittura didascalico, ma di grande qualità con un ensemble formato da specialisti che ben si destreggiano nel canto ma anche, e in Brecht è fondamentale, nella recitazione. A ciò si aggiunga una buona compagine di ballerini diretti sapientemente da Valentina Escobar e un coro che, pur in difficoltà con la lingua tedesca, cerca di fare del suo meglio. Otteniamo dunque un prodotto notevole, anche vista la complessità della messa in scena e la numerosa compagine di persone coinvolte.

Fra i cantanti spicca l’ottimo Jim Mahoney di Tobias Hächler, dotato di voce potente e timbrata, affiancato dalla spigliata e vocalmente sicura Jenny di Nadjia Mchantaf. Con voce potente e dalle preponderanti sfumature mezzosopranili Alisa Kolosova dà al personaggio della vedova Begbick una efficace e intensa caratterizzazione. Ottimo, solo con qualche ruvidezza di troppo, il baritono rumeno Zoltan Nagi nel ruolo di Moses. Di livello anche tutto il resto del numeroso cast.

L’orchestra dell’Emilia Romagna era ottimamente diretta da Christopher Franklin.

Il pubblico di Parma è accorso numeroso e ha tributato a tutti gli interpreti un vivo apprezzamento.

Raffaello Malesci (Sabato 30 Aprile 2022)