Recensioni - Opera

A Piacenza un Flauto Magico senza Singspiel

Un’edizione con poco brio sul versante musicale e scenico

Al Teatro Municipale di Piacenza arriva Die Zauberflöte, ovvero Il Flauto Magico, di Wolfgang Amadeus Mozart. Spettacolo prodotto insieme al Teatro Comunale di Ferrara.

È il capolavoro che tutti conosciamo e si tratterebbe di un Singspiel, ovvero di un’opera cantata ove l’azione è poi affidata a recitativi secchi, cioè senza l’accompagnamento dell’orchestra o del clavicembalo. In questa edizione si è optato per una scelta curiosa e non proprio felice. Pur restando l’opera cantata in tedesco, i recitativi, molto abbreviati, sono stati detti in Italiano, creando una poco efficace congerie linguistica. Inoltre la parte recitata è stata praticamente ridotta all’osso, con il risultato che la trama resta incomprensibile e ci troviamo di fronte non più ad un Singspiel, ma ad una serie di arie e concertati. Si perde il teatro, si perde il senso ultimo della Zauberflöte: una fusione di splendida musica e di divertente e spigliata commedia. A ciò si deve aggiungere che le poche parti recitate sono state dette con poca intenzione e grande impaccio scenico.

Peccato perché l’idea registica di Marco Bellussi, anche se non sviluppata fino in fondo, avrebbe qualche spunto di originalità. Il regista infatti traspone l’azione in una biblioteca rotante ideata dallo scenografo Matteo Paoletti Franzato. L’ambientazione è spostata in un ottocento formale, con gli appropriati e ben fatti costumi di Elisa Corbelli. Tutto scaturisce dai libri: Pamino si immagina la storia del serpente inziale leggendo un libro, le dame che lo salvano sono bibliotecarie, la Regina della Notte potrebbe essere la direttrice, Sarastro il magnate benefattore. Il contrasto fra culture diverse, quella degli illuminati e quella dell’astri fiammante potrebbe fare il resto. Gli spunti ci sarebbero, purtroppo però non sono approfonditi e portati fino in fondo. La messa in scena diventa perciò ripetitiva e senza un fine preciso, con qua e là vistose incongruenze e disposizioni del coro e dei cantanti che non convincono. Un’occasione perduta.

Massimo Raccanelli dirige senza brio l’Orchestra Città di Ferrara, la computazione è precisa, ma i tempi sono troppo lenti, il contatto con il palcoscenico approssimativo e alla fine prevale la noia.

Scolastica per lo più la compagnia di canto. Insufficiente la recitazione. Da citare per una linea di canto corretta il Tamino di Antonio Mandrillo, la Pamina di Leonor Bonilla e il Papageno di Gianluca Failla. Una menzione a Lorenzo Martelli, che oltre a cantare bene Monostatos, prova, unico in tutta la compagnia, anche a recitarlo in modo convincente.

Buon successo nel finale.

Raffaello Malesci (Domenica 13 Aprile 2025)