Recensioni - Opera

A Ravenna il raro Aroldo di Giuseppe Verdi

Un grande cast per un'opera fuori repertorio

La stagione lirica del teatro Alighieri di Ravenna è iniziata con un opera non di repertorio e guardando la partitura, si capisce molto bene perché. Ci vuole un cast d’eccellenza per poterla rappresentare,
Ci vorrebbe un cast all’altezza ...ma in questa opera di Verdi, rifacimento della sua opera giovanile Stiffelio, ancora di più. 
Infatti tutti gli interpreti cantano al limite della loro estensione musicale, mettendo a dura prova la loro capacità tecnica e vocale.
Un esempio per tutti è il baritono, che canta quasi tutta l’opera in mi e fa, note altissime per questa corda.

I cantanti sono stati meravigliosi. Il tenore Luciano Ganci, nel ruolo del titolo, ha fornito una interpretazione vocale degna di nota con emissione  sempre perfetta; altrettanto brava Roberta Mantegna nel ruolo della figlia Mina. Personaggio difficile, drammatico, molto intenso, reso benissimo per la bravura che distingue questa interprete. Degni di nota anche il Briano di Adriano Gramigna e il Golvino interpretato da Riccardo Radon. Ultimo ma  non ultimo il baritono Vladimir Stoyanov nel ruolo del padre Egberto. Lo spartito ha una tessitura altissma per la vocalità baritonale, ma il cantante bulgaro, amato dagli italiani per la sua linea di canto dolcissima e per il fraseggio perfetto, ci ha regalato una interpretazione da sogno.

Durissimo con la figlia all’ inizio dell’opera, deciso nel voler salvare l’onore sfidando a duello il seduttore; pieno di pathos all’inizio del terzo atto quando decide di lavare l’onta col proprio sangue; malinconico e disperato mentre ripensa alla figlia; deciso e pieno d ardore quando apprende di poter compiere la sospirata vendetta.

Il finale dell’opera apre i cuori alla speranza. Dio è il giudice supremo e se l’ uomo impara a perdonare vicendevolmente si può costruire un  mondo migliore e pieno d’amore. Bravo come sempre il coro del teatro  Municipale di Piacenza, diretto dal maestro Corrado Casati.
Perfetta l’orchestra Cherubini, una certezza di musicalità sempre di alto livello, ben diretta dal maestro Manlio Benzi.

Sulla regia, si è visto di  molto peggio...sopratutto in questi ultimi anni. Nonostante qualche sbavatura, l’idea di trasportare la vicenda durante il periodo fascista regge abbastanza considerando che sono state cambiate anche alcune parole del libretto e si parla di Abissinia invece che di Palestina. C’è stata questa trasposizione in quanto la prima rappresentazione dell’opera Aroldo è stata data a Rimini. Nel 1943 Rimini fu bombardata e rasa al suolo, anche il teatro fu distrutto. Si è voluto ricordare questo episodio e prima della sinfonia una attrice racconta del bombardamento e della distruzione del teatro, riaperto dopo 75 anni. Interessante l’utilizzo del sipario storico salvato dalle macerie che apre e chiude l’opera.

Spettacolo da  non perdere, visto che ora è molto difficile amalgamare cast in cui tutti i protagonisti  siano di livello.

Unico neo: pochissimo pubblico, teatro semi vuoto. Veramente un peccato.