
Lisette Oropesa primeggia sulle inarrestabili piattaforme rotanti del regista Ulrich Rasche
Al Festival di Salisburgo 2025 una nuova produzione di Maria Stuarda di Gaetano Donizetti. Antonello Manacorda dirige i Wiener Philharmoniker. Alla regia e alle scene Ulrich Rasche, costumi di Sara Schwartz, coreografie Paul Blackman. Marco Giusti alle luci e ai video Florian Hetz.
Il regista tedesco costruisce un imponente apparato con due pedane circolari rotanti sempre in movimento. Queste pedane girano a diverse altezze sul grande palcoscenico del Festspielhaus ruotando su un perno centrale, si inclinano in tutte le direzioni e nel contempo ruotano su loro stesse, costringendo i cantanti ad un lento ma perenne movimento. I due dischi rotanti sono poi sovrastati da un terzo immenso disco luminoso, che crea molteplici situazioni sceniche e che viene anche utilizzato per le proiezioni.
Per tutta la durata del dramma donizettiano il movimento non si arresta mai, un vero e proprio “Perpetuum Mobile” di grande fascino e suggestione scenica, oltre che di sopraffina perfezione scenotecnica. I costumi sono semplicissimi, tutti sui toni del nero, con la sola Maria che può vestire con una lineare tunica dorata o bianca nel finale. Il coro non entra mai in scena, ma è posizionato in alto sullo sfondo, quasi invisibile.
Le due Regine si stagliano sempre su pedane diverse e non si incontrano mai: non possono invadere una il campo dell’altra. Non sono mai sole, ma sempre seguite o attorniate da gruppi di ballerini vestiti di nero che si muovono insieme ai protagonisti con un ritmo costante fatto di passi lenti e ripetitivi. Un continuo e spesso faticoso avanzare su questi dischi inclinati, quasi a simboleggiare la fatica della lotta fra le due contendenti. Nelle scene di Elisabetta intervengono anche delle immagini per lo più allusive alla libertà sessuale della rivale, soluzione non particolarmente efficace e già vista.
L’impatto scenico è grandioso, la suggestione del movimento quasi ipnotica, ma, soprattutto nella prima parte, alla lunga le pose sceniche tendono a riproporsi senza particolare efficacia. Insomma il regista pare traccheggiare, ripetendo schemi che lungi dall’essere ossessivi, diventano semplicemente ripetitivi. Inoltre nel finale della prima parte manca colpevolmente il climax nello scontro fra le due regine, che passa scenicamente sotto tono.
Ulrich Rasche si riscatta però nel grandioso finale affidato a Maria Stuarda, in cui i ballerini si liberano dai panni neri e appaiono seminudi ad accompagnare la regina scozzese al patibolo. In una luce arancione di grande effetto, Maria è circondata da corpi maschili in una scena pienamente riuscita che rimanda agli affreschi del Giudizio Universale di Luca Signorelli ad Orvieto. Solo con la morte di Maria cala dall’alto la terza pedana rotante, schiacciando la regina. Solo a questo punto tutti i ballerini crollano a terra cadendo dalla pedana. Con la morte della protagonista il movimento perpetuo della scena infine si ferma.
La regia è azzeccata, coraggiosa e magistralmente realizzata. Il rischio sta certo nella ripetitività della scelta e in una inevitabile genericità nei rapporti fra i protagonisti, sempre intenti a muoversi in base al ritmo della pedana. Nel complesso però una messa in scena innovativa e riuscita.
Grande protagonista della serata è la Maria Stuarda di Lisette Oropesa, che incanta sia scenicamente che vocalmente. Forse l’interprete che meglio riesce a incarnare l’idea registica, la Oropesa svetta negli acuti e si impone per fraseggio, precisione e forza vocale.
Al suo fianco la brava Kate Lindsey nei panni di Elisabetta. Il mezzosoprano statunitense non riesce però completamente ad incarnare la perfidia della sovrana vergine, risulta vocalmente poco incisiva e pare meno a suo agio con la scenografia.
Si distingue nel cast maschile il Giorgio Talbot di Aleksei Kulagin, che sfoggia una importante voce di basso, accattivante, sonora e omogenea in tutti i registri. Il fraseggio è accurato e la presenza scenica magnetica e convincente. Bekhzod Davronov ha un bel timbro tenorile, che dosa con buona omogeneità, ma forse non era in serata e non riesce a primeggiare nella parte di Leicester. Solido e senza sbavature il Guglielmo Cecil di Thomas Lehman. Corretta la Anna Kennedy di Nino Gotoshia.
Splendida la concertazione di Antonello Manacorda, che regala insieme ai bravissimi Wiener Philharmoniker un Donizetti vibrante e agogico in cui le melodie corrono “all’italiana”, senza paura, senza concettualismi, come dovrebbe essere.
Teatro pieno e grande successo nel finale, con ovazioni per le due protagoniste.
Raffaello Malesci (Martedì 19 Agosto 2025)