
Riuscita messa in scena per la rara opera francese con l'Amleto di John Osborn
Hamlet di AmbroiseThomas è espressione di un periodo in cui la scena musicale francese stava mutando i suoi contorni e la struttura del grand-opéra gradatamente andava a collegarsi con un sempre maggiore interesse per ambientazioni e trame tratte da grandi capolavori letterari ed in questo contesto l’opera di Shakespeare, insieme a quella di Goethe, si poneva quale una delle principali fonti di ispirazione.
L’Amleto in particolare diviene soggetto ricercato in quanto, pur mantenendo al suo interno tutte le coordinate più amate dal teatro di quell’epoca, ne arricchiva altresì l’effetto attraverso uno spessore ed un’intensità psicologica che solo più avanti nel tempo l’ambiente musicale sarebbe stato pronto compiutamente ad esprimere. Così l’Hamlet, su cui si misero al lavoro Michel Carré e Jules Barbier (allora librettisti di punta in ambito francese), pur condividendo con l’originale shakespiriano la scansione drammatica se ne discostava poi totalmente a causa della popolare interpretazione che ne aveva dato Dumas padre, autore con Paul Meurice di una versione in cui l’aspetto più tormentato della personalità del principe veniva ridisegnato, a vantaggio di una trama più adattabile e permeabile ai gusti del momento che da tempo cominciavano ad essere particolarmente rapiti da quella miscela gotico-onirica che avvolgeva spesso i capolavori del Bardo: si pensi al celebre quadro Gertrude, Amleto e il fantasma del padre di Amleto dipinto nel 1793 dall'artista svizzero Johann Heinrich Füssli chiaro esempio di quanto certe libere atmosfere interpretative circolassero già da tempo e (oggi come allora mi verrebbe da dire) andassero ad influenzare il gusto di numerose operazioni teatrali.
Nel caso specifico dell’opera di Thomas ciò fu determinante anche per la sua stessa genesi che dovette ovviare alla mancanza, in quel preciso periodo, di un tenore consono per il ruolo adattando la parte alla carismatica vocalità dell’eccellente baritono francese Jean-Baptiste Faure, la natura del personaggio restava altresì tenorile e pensata in perfetta sinergia con la parte di Ophelia, creata per l’amatissimo soprano lirico leggero svedese Christina Nilsson.
Operazione teatralmente assai interessante dunque quella del Teatro Regio di Torino che ha scelto di presentare nel corso della sua stagione 2024/2025, la versione per tenore per la prima volta in forma scenica ed in lingua francese.
Il regista Jacopo Spirei imposta uno spettacolo molto elaborato in cui la diversificata drammaturgia pur seguendo un comune filo conduttore (un viaggio nell’inconscio che si propone di scandagliare traumi ed angosce del protagonista), non sempre riesce a riunire i suoi molteplici aspetti in un quadro unico e coerente rischiando di vanificare a tratti l’ottimo contesto creato. Lo spazio elaborato da Gary McCann è dominato da una scenografia di stampo apparentemente tradizionale in cui una quarta parete cala ad ogni cambio quadro quasi a voler veicolare una riflessione sul mondo del reale e del verosimile ed in molte scene difatti il velo dell’ironia e del sarcasmo sembra giocare una sua personale partita. I costumi di Giada Masi contribuiscono ad accentuare il ruolo dei personaggi di potere (Claudio e Gertrude in particolare) connotandoli quasi come balocchi (ed alla fine del II atto compariranno infatti quali enormi teste animate di stampo carnevalesco) pedine di un gioco predefinito che continuerà senza soluzione di continuità alternando visioni passate ( l’infanzia di Amleto e Ofelia quasi sempre accompagnati dallo spettro del padre) e presenti, incubi e flashback in un viaggio attraverso l'accettazione forzata di un potere che il giovane principe infine rifiuterà, sacrificando se stesso.
Decisamente riuscito l’atto IV dominato dalla follia di Ofelia che offre al regista la possibilità di cimentarsi in un terreno che sembra essergli particolarmente congeniale. Attraverso un semplice gioco di sedie prima e di veli e trasparenze poi, giocando con la visualizzazione del racconto delle Villi raccontato dalla fanciulla, il lavoro di Spirei sembra materializzare pian piano il suo delirio inondando empaticamente il teatro attraverso un lavoro di sottrazione che pare trarre la sua ispirazione dall'evocativo universo di Böcklin. Un’operazione assai seria dunque e ben articolata anche se forse l’affastellarsi delle dinamiche sceniche ha rischiato a tratti di appesantirne l'originale linguaggio espressivo.
Per un allestimento di questa complessità teatrale e musicale era necessario un cast che unisse ad una vocalità sapientemente dominata una teatralità che ben giungesse a calibrare i delicati equilibri della partitura che alterna pagine di maggior convenzionalità ad altre di estremo vigore drammatico.
John Osborn appare perfettamente in sinergia con il personaggio di Amleto. La sua vocalità, oltre a mostrare sempre un attento dominio tecnico, si lascia mirabilmente plasmare dall’espressività dell’interprete che cesella con estrema misura ogni sfumatura del suo complesso carattere.
L’Ofelia di Sara Blanch, morbida nel fraseggio e incandescente nelle agilità, acquista ancor più intenso e peculiare spessore quando al canto unisce l’aspetto più marcatamente teatrale ed espressivo. La sua scena della pazzia diviene allora un pezzo di teatro totale in cui la misura dell’interprete giunge a potenziare la forza della pagina musicale.
Clémentine Margaine costruisce una Gertrude monolitica dominata da una timbrica robusta ed imperativa che, ad onta di qualche apertura nel registro estremo, convince per professionalità e sapienza espressiva. Molto bene Riccardo Zanellato che giunge a tratteggiare il suo Claudio attraverso una vocalità tanto sapientemente dosata quanto nobile ed espressiva, delineando una caratterizzazione di gran classe.
Molto bene anche il resto del cast nei rispettivi ruoli: Julien Henric (Laerte), Alastair Miles (Lo spettro), Alexander Marev (Marcellus), Tomislav Lavoie (Orazio), Nicolò Donini (Polonio), Janusz Nosek (Primo becchino) e Maciej Kwasnikowski (Secondo becchino).
Corretto e professionale il coro del teatro diretto da Ulisse Trabacchin.
Jérémie Rhorer alla guida dell’orchestra del teatro Regio dirigeva con piglio autorevole la partitura di Thomas riuscendo a ben combinarne i molteplici aspetti chiaroscurali.
Gran successo di pubblico per questo nuovo allestimento che conferma il teatro torinese come uno dei più interessanti nel panorama contemporaneo per programmazione e qualità.
Torino, 20/05/2025