Recensioni - Opera

A Torino La Fille du Régiment targata Barbe & Doucet

Poetico allestimento basato sui ricordi

La drammaturgia creata dalla coppia di registi Barbe & Doucet (qui ripresa da Florence Bas) per questo nuovo allestimento de La Fille du régiment di G. Donizetti che, in coproduzione con il teatro La Fenice di Venezia (dove ha debuttato lo scorso ottobre), giunge ora a Torino in occasione dei festeggiamenti per i cinquant’anni del teatro nella veste creata da Carlo Mollino, si basa sul valore del ricordo e della memoria individuale e sulle basilari implicazione che questo ha (o meglio dovrebbe avere) nella fruizione ed interpretazione del nostro presente.

Un video con il primo piano di un’anziana signora accoglie il pubblico che entra in sala alla ricerca del proprio posto.

Durante l’Ouverture, quando il filmato amplierà campo e prospettiva, scopriremo che si tratta dell’anziana Marie, ora ospite di una casa di riposo, che attende con gioia la visita dei giovani parenti; sarà lei, attraverso le sue ricche memorie, fulcro e motore drammaturgico dell’azione, che avrà poi il suo inizio proprio da un ricordo che passerà, vivido e frizzante, dalle sue labbra alle pronte e curiose orecchie dei bisnipotini.

La coppia registica, fedele a questa personale scelta di fondo, sposta dunque il piano narrativo al secondo dopoguerra ed in Tirolo, restituitoci attraverso una rappresentazione gigante del piccolo mondo di ricordi che l’anziana Marie tiene ben disposti sul suo comò accanto alla radio ed alle medicine.

Accanto alla malinconica realtà prende dunque vita un secondo mondo e, novella Alice al di là dello specchio, la protagonista ci introduce, attraverso una brillantezza che frequentemente declina in malinconia, in alcuni felici momenti della sua vita passata.

L’impianto scenico perfettamente rappresenta questo mondo di gesso e celluloide che attraverso una rappresentazione del kitsch, puntuale ma mai fine a se stessa, rimanda felicemente (anche tramite costumi che attentamente riproducono quelli delle bamboline souvenir di quegli anni) proprio all’allure dolce amara di quel particolare momento della vita che spesso accompagna la gioia della condivisione di un ricordo alla consapevolezza di una realtà caduca e fragile.

Come nella partitura donizettiana la luce non è mai piena ma sempre velata da una prospettiva malinconica, così la regia si muove disinvolta e gaia ma non abbandona mai il concetto originario, donando ad ogni ciclopico oggetto uno stesso duplice significato.

La memoria diviene dunque chiave narrativa gaia e spensierata ma, proprio nel suo ingombrante gigantismo, tradisce l’esagerazione di un entusiasmo forzato.

Un impianto registico raffinato dunque che ha trovato ampio riscontro artistico grazie ad un cast nel suo complesso davvero eccellente.

Giuliana Gianfaldoni trova il carattere di Marie perfettamente confacente alla sua personalità teatrale e, attraverso una vocalità attraente per timbro e tecnicamente sicura, riesce a farne emergere, grazie ad un' attenta sensibilità espressiva, le caratteristiche salienti, che non possono certo esaurirsi attraverso l’esclusivo profilo tecnico.

Il Tonio di John Osborn ne conferma l'eccellenza, oltre che nella misura vocale, sempre dominata dall’espressività anche quando dovrebbe essere la tecnica a prevalere (“Ah! Mes ami”) , nell’insieme complessivo del carattere, sempre tratteggiato attraverso un colore ed un’attenzione a fiato e fraseggio che in ogni momento ne dominano l’interpretazione, connotandola di quel particolare lirismo che appartiene ai grandi.

Molto bene anche Simone Alberghini quale Sulpice ed ottima la caratterizzazione di Manuela Custer quale marchesa di Berkenfield.

Divertente la scelta da parte del teatro di affidare la parte della duchessa di Krackentorp al celebre trasformista e concittadino Arturo Brachetti che non ha mancato, neanche in quest’occasione, di stupire il pubblico attraverso le sue pirotecniche mutazioni.

Molto bene anche il resto del cast: Guillaume Andrieux quale Hortensius, Lorenzo Battagion (un caporale), Federico Vazzola ( un notaio) e Alejandro Escobar (un paesano).

Misurato e partecipe il Coro del Teatro Regio diretto da Andrea Secchi.

Evelino Pidò alla guida dell’orchestra del Teatro Regio, grazie ad un sofisticato lavoro con buca e solisti, è riuscito ad ottenere un risultato lieve e sottile dove l’omogeneità delle sonorità ha perfettamente espresso il carattere eclettico di questa partitura donizettiana che così bene coniuga i caratteri dell’opéra- comique e quelli del belcanto.

Teatro non completamente gremito ma assolutamente entusiasta ed applausi e chiamate per tutti gli interpreti ed il Direttore.

Torino,19/05/2023