Interessante progetto del Teatro Regio che presenta tre versioni operistiche del romanzo settecentesco dell'abate Prévost
Sicuramente un’operazione teatralmente tanto diversificata e brillante quanto ambiziosa e densa di rischiose variabili si è rivelata la scelta da parte del Teatro Regio di Torino di inaugurare la sua Stagione 2024/2025 con una proposta culturale che accorpava in un unico progetto tre differenti opere di altrettanti compositori.
Si discute spesso ed anche in modo improprio su come una donna dovrebbe o non dovrebbe essere, fare o comportarsi ed il soggetto femminile che lo voglia o no e per un motivo o per l’altro finisce per trovarsi costantemente sotto i riflettori sia che interpreti la vittima sia l’aguzzina.
Cavalcando questo tema conflittuale il progetto scelto dal teatro torinese si concentrava proprio su una figura femminile che, fin dalla sua nascita nel 1731 dalla penna dell’abate Antoine François Prévost (personaggio la cui vita stessa potrebbe essere fonte per un libretto), non ha mai cessato di affascinare nel tempo proprio per quel miscuglio di dolcezza, civetteria, avventatezza e passione che la caratterizza: Manon Lescaut.
Attraverso l’opera dei tre musicisti che a lei si sono ispirati (Daniel Auber, Jules Massenet e Giacomo Puccini) l’obiettivo di questa produzione congiunta dal nome Manon, Manon, Manon era proprio l’accostare tre ritratti di uno stesso personaggio attraverso l’interpretazione di tre differenti cast, direttori d’orchestra ed allestimenti scenici pur coordinati da un unico regista.
Responsabile dell’impegnativa produzione, il brillante Arnaud Bernard (coadiuvato per le tre opere dalle scene di Alessandro Camera e dai costumi di Carla Ricotti) ha scelto di impostare la sua lettura su di un fil rouge ricco di fascino quale il mondo del cinema e le sue dinamiche.
Elaborando il concetto di mimesi quale similitudine tra cosa empirica ed idea che ne costituisce il tipo universale, il lavoro di ricerca del regista procede con felice intuizione artistica affiancando ad ogni tipo femminile (e dunque ad ogni Manon) un preciso periodo della storia del cinema, costruendo intorno ad ognuna un mondo tratteggiato da mode e variabili molto differenti. Tre facce dello stesso prisma che solo nella loro unione trova la sua completa definizione e che l’operazione di Bernard cesella con cura ottenendo un elaborato e coinvolgente quadro complessivo.
Durante il mese di ottobre le tre produzioni si sono dunque alternate sul palcoscenico del teatro e, nonostante l’apparente diversità, il risultato è apparso coerente e ben costruito.
Apriva le danze Manon Lescaut di Giacomo Puccini, vista attraverso l’obiettivo del cinema francese degli anni 30/40 e della collaborazione Carné-Prèvert o la visione di J. Renoir (Les enfants du paradis/La Bête humaine), si proseguiva poi con quella di Jules Massenet attraverso gli anni ‘60 e le spregiudicate movenze di Brigitte Bardot (La veritè di Clouzot) per chiudere poi con Daniel Auber ed il mondo del grande cinema muto di G. Méliès e A. Guy.
Naturalmente ogni film era abbondantemente citato in palcoscenico attraverso ampie proiezioni che trovavano una loro speculare presenza in scena ma nulla era lasciato al caso, anzi il riferimento di celluloide spesso contribuiva a potenziare i differenti profili della protagonista nati dalla penna dei compositori.
I cast impegnati in ogni produzione si presentavano assai vari così come le prestazioni offerte, comunque accomunate dall'estrema serietà e rigore professionale che l’imponente progetto richiedeva.
L’impostazione registica data alla pucciniana Manon Lescaut imponeva un taglio interpretativo molto volitivo e passionale e la vocalità piena e rotonda di Erika Grimaldi si mostrava molto adatta in questo senso, ben dosata dall’ artista alla ricerca della giusta misura espressiva che in questo personaggio è così centrale. La sua interpretazione colpiva infatti soprattutto sotto il profilo marcatamente vocale che contribuiva a cesellare un personaggio completo che traeva compiutamente la sua origine da una consolidata quanto amata tradizione esecutiva.
Coinvolgente e teatralmente assai ben scolpito il Des Grieux di Roberto Aronica la cui interpretazione tradiva però a tratti un’emissione di forza che spesso rischiava di comprometterne la bella vocalità. Detto questo l’interprete emergeva bene, così come la sua drammaticità espressiva.
Molto bene Alessandro Luongo e Carlo Lepore, rispettivamente Lescaut e Geronte, che hanno cesellato al meglio i loro caratteri. Completavano il cast Giuseppe Infantino (Edmondo), Didier Pieri (Un lampionaio/Un maestro di ballo), Reut Ventorero (Un musico), Janusz Nosek (Sergente degli arcieri/L'oste) e Lorenzo Battagion (Il comandante di Marina).
Alla guida dell’orchestra del Teatro Regio, Renato Palumbo offriva una solida ed efficace lettura del capolavoro pucciniano ottenendo buon amalgama e compattezza.
Meno felice la produzione della versione di Jules Massenet che, pur presentando validi professionisti, appariva stilisticamente poco convincente.
Corretta musicalmente e dotata di una più che interessante vocalità Ekaterina Bakanova rimaneva così un po’ ai margini espressivi del suo personaggio, sempre in bilico tra ingenuità e provocazione e, unitamente al Des Grieux delineato da Atalla Ayan attraverso una vocalità interessante, ma priva di espressive intenzioni d’accento. L’interprete non andava oltre una corretta esecuzione.
Ottimo sotto un profilo prettamente espressivo il Conte Des Grieux scolpito con estrema nobiltà d’accento da Roberto Scandiuzzi .
Ben si comportava nel suo complesso il resto del cast: Björn Bürger (Lescaut), Thomas Morris (Guillot de Morfontaine), Allen Boxer (Monsieur de Brétigny), Ugo Rabec (L'oste), Olivia Doray (Poussette), Marie Kalinine ( Javotte/ La domestica), Lilia Istratii (Rosette), Alejandro Escobar (Una guardia), Leopoldo Lo Sciuto (Un'altra guardia), Roberto Miani (Un mercante/Il portiere di S. Sulpice/Una voce), Franco Rizzo (M de Chansons/Secondo giocatore), Giovanni Castagliuolo (M de Elixir/Un giocatore/Primo giocatore), Andrea Goglio (Cuciniere/Voce fuori campo/Un giocatore) e Junghye Lee (Una commerciante).
Evelino Pidò ha diretto con professionalità l’orchestra torinese, pur restando lontano da quella scoppiettante miscela mélo offerta dal lavoro massenettiano, in cui l’alone patetico si miscela con una frizzante esuberanza.
Assai ben calibrata appariva al contrario la meno nota ma assai significativa partitura di Daniel Auber, classico esempio di quell’ Opéra-Comique, dove alla gaiezza si sarebbe presto innestata la consuetudine di un finale tragico (Carmen debutterà su quel palcoscenico dopo pochi anni).
Marie-Eve Munger quale Manon si mostra tecnicamente precisa quanto disinvolta ed intensa sotto un profilo espressivo, giungendo a ben definirne un ritratto che forse (dei tre proposti) si rivela quello che meglio giunge a veicolarne la complessità.
Molto misurato il Des Grieux di Marco Ciaponi, la cui vocalità dal bel colore si accompagnava ad una cesellata sensibilità.
Nell'opera di Auber la parte del ricco amante di Manon (Marquis d'Hérigny) è musicalmente dominante e Edward Nelson l'ha interpretata correttamente.
Completavano assai bene il cast Francesco Salvadori (Lescaut), Manuela Custer (Mado sancelin,/Ulevard du Temple), Guillaume Andrieux (Renaud), Lamia Beuque (Marguerite), Anicio Zorzi Giustiniani (Gervais), Paolo Battaglia (Monsieur Durozeau), Tyler Zimmerman (Un sergente ), Juan José Medina (Un borghese) e Albina Tonkikh (Zaby).
Frizzante ed effervescente la direzione di Guillaume Tourniaire.
Buona la prova del Coro del Teatro impegnato nelle tre partiture diretto da Ulisse Trabacchin.
Un’operazione ardita e nel suo complesso riuscita che ha avuto l’indubbio merito di tentare di spostare l’interesse su una parte di repertorio ancora sconosciuto, anche se il lavoro appare ancora lungo se su tre produzioni l’unica proposta che vedeva (la domenica pomeriggio poi!) vistosi ed imbarazzanti vuoti in platea era proprio il melodramma di Auber!
Torino, 25/26/27 ottobre 2024