
E' stata presentata una produzione della Deutsche Oper di Berlino ideata da Graham Vick
Scelta felice quella effettuata dal Teatro Regio di Torino che decide di ripresentare al suo pubblico La dama di picche una delle opere più riuscite, complete e ricche di complessi significati di P. I. Čajkovskij, assente da Torino dal 2009.
Al posto della produzione annunciata ad inizio stagione ed annullata per sopraggiunte problematiche non imputabili al teatro stesso, si è scelto dunque di puntare al suo posto su di uno spettacolo proposto lo scorso anno dalla Deutsche Oper di Berlino.
Sorto dalla creativa intuizione di Graham Vick e poi ripreso e sviluppato, dopo la sua prematura scomparsa nel 2021, dal regista Sam Brown, questo sembra trovare il suo fulcro sulla natura concettuale della novella di Puškin, principale fonte di ispirazione (pur con chiari distinguo) per il compositore russo.
Tutto sembra ruotare intorno alle due claustrofobiche vite dei protagonisti German e Liza, prigionieri di un mondo che non desiderano ma che li assorbe completamente con le sue dinamiche. Entrambi sono perennemente insoddisfatti in quanto bramano ciò che non possono avere ed il destino non fa che attrarli per contrasto, finendo poi per dividerli per sempre.
In un’impostazione registica dove molte soluzioni si accostano mescolando idee originali (la Contessa vista come diva del muto) ad altre di più convenzionale sapore (la festa in maschera con ovvia deriva orgiastica colpevolmente privata, peraltro, dell’intermezzo pastorale “La fedeltà della pastorella”) l’idea originale di Vick si riscontra in particolare nel vincente lavoro compiuto attraverso la visualizzazione sulle pareti di ombre incombenti e gigantesche, in proiezioni che a tratti mostrano spezzoni di film in bianco e nero dove i caratteri assumono una lettura quasi espressionistica, così come nella divisione degli spazi, ritagliati tramite freddi neon che ne definiscono gelidamente i contorni.
Per il resto la regia appare troppo spesso poco concentrata su di un’intensa definizione espressiva dei personaggi, lasciata quasi nella sua totalità nelle mani dei solisti che in questo caso hanno sortito un risultato complessivamente di tutto rispetto.
Mikhail Pirogov, ponendo la sua robusta vocalità tenorile al servizio del tormentato ruolo, ben cesellava vocalmente il personaggio centrale di German, anche se quel bulimico delirio che tradirà poi una sua fredda e costante ossessione (che si tratti dell’attrazione per Lisa così come del tormento per le tre carte) resta un po’ ai margini della sua pur ottima interpretazione.
La Liza di Zarina Abaeva, dalla bella vocalità, ha trovato i suoi momenti migliori in un canto languido, sofisticato e cesellato con classe, pur perdendo un poco di rotondità a contatto con il registro acuto, dove il suono non veniva a tratti raccolto a dovere.
Sofisticata e avvolta da un oscuro ed impalpabile mistero si muoveva Jennifer Larmore, che ben delineava la sua Contessa attraverso una timbrica cangiante ed una espressione sempre concentrata ed a tratti ipnotica.
Assai bene Elchin Azizov che ha tratteggiato il conte Tomskij con esuberante spessore, mentre Vladimir Stoyanov cesellava con grande classe un raffinato ritratto del Principe Eleckij, attraverso una linea di canto sempre duttile e perfettamente bilanciata sull’espressività dell’accento. Davvero interessante per bellezza del timbro e giusta teatralità la Polina delineata da Deniz Uzun. Completavano correttamente il cast: Alexey Dolgov (Čekalinskij), Vladimir Sazdovski (Surin), Ksenia Chubunova (La governante), Joseph Dahdah (Čaplickij e Il maestro di cerimonie), Viktor Shevchenko (Narumov) e Irina Bogdanova (Maša).
Valentin Uryupin dirigeva con misura l’orchestra del teatro Regio, bene anche il Coro di Voci bianche diretto da Ulisse Trabacchin.
Un teatro gremito ed applausi molto calorosi accoglievano tutti gli interpreti ed il Direttore di questa interessante produzione.
Torino, 11/04/2025