
Convince il cast e la regia di Leo Muscato
La meravigliosa bacchetta di Nicola Luisotti dirige l’impeccabile orchestra del Teatro Regio in un Rigoletto a cavallo tra due guerre in uno spazio evocativo, quello della Bella Époque. Un file Rouge lo collega alla Mantova cinquecentesca, la sfrenatezza delle feste e una struttura sociale non sovvertita, dove esistono ancora i Duchi e gli eccessi degli anni ruggenti.
I costumi, di Silvia Aymonino, allertano lo spettatore dello spostamento d’epoca, mentre le scene, di Federica Parolini, sono concepite come uno spazio astratto e rimandano ad una realtà non come è ma come viene vista: uno luogo alterato di un mondo onirico e drogato.
Un palcoscenico rotante diviso da un muro translucido e materico; scena esteticamente affascinante che fa pensare alle performance dello scultore Richard Serra. Sul palco sempre due mondi separati e diversi, ma sempre attraversabili e questo è assai visibile nella scena di Rigoletto che cerca Gilda a casa del Duca, al di là, dove la fanciulla viene nascosta e dove accade ciò che il padre teme. C’è sempre un lato nascosto e oscuro; qui l’espediente scenico racconta quello che diamo a vedere agli altri e, invece, quelli che sono i territori dietro lo specchio.
I tradimenti che opera Leo Muscato, regista di consumata esperienza, sono necessari e ben riusciti per poter raccontare la vicenda in maniera traversa e mettere i personaggi nella condizione di osservatori e ascoltatori, non visti dagli altri, ma visti dal pubblico, lo spettatore- attore che dà senso a ciò che accade in palcoscenico.
Anche sul piano musicale è presente la doppia struttura: la banda e il coro, in momenti diversi e in diversi spazi.
Il Minuetto, il Perigordino, e l’orchestra in “buca,” rafforzano proprio questa dualità e anticipano le citazioni del Don Giovanni; entrambi i personaggi sono due libertini e sono i seduttori della storia. Perché Gilda muore? Cosa viene ucciso sul palcoscenico, una ragazzina di sedici anni o l’innocenza? L’innocenza! Gilda è l’unico personaggio gentile, educato, buono; “Dio loro perdonate”. Gilda va incontro alla morte perché Maddalena ama più di lei; Gilda si trasforma in una bambina-Cristo. Perdonare le colpe di una società che calpesta l’innocenza.
Lo straordinario è che sul palcoscenico ci sono tutte le arti e ci viene svelata l’essenza e la miseria della nostra fragilità.
Giuliana Gianfaldone, già tante volte Gilda, ci lascia col fiato sospeso e incantati; inanella i filati e lascia cadere, a noi, cristalli di voce pura, modulata e immacolata. Superba e perfetta negli attacchi anche quando il lirismo prevale, lei ci tocca e ci commuove. Gli acuti immensi, puliti e setosi. La voce è uno strumento musicale, è un tutt’uno con l’orchestra. Indistinguibile!
Splendido Rigoletto il baritono George Petean, conduce la voce in ruoli Verdiani più volte interpretati; complessa interpretazione. Le sfumature vocali sono infinite e lui le guida anche in modo vivace “Cortigiani, vil razza dannata”. Ci piace! Solida interpretazione.
Il Duca di Mantova Piero Pretti, padrone degli acuti eseguiti con maestria, non ammalia. “Parmi veder le lagrime” non ci rapisce, forse è un po’ carente di interpretazione. Sicuro invece, entra a gamba tesa, in “La donna è mobile”.
Martina Belli è una bellissima e brava Maddalena, per quel poco che la parte concede, tiene la scena: mezzosoprano dalla voce brunita e vellutata, ricca di sfumature capace di salire agevolmente sull’acuto; anche la dizione è nitida.
Goderdzi Janelidze è Sparafucile, un basso tonante e ruvido, ci è piaciuto. I comprimari si mettono in luce per bravura e maestria. Una nota di merito ai cortigiani, interpretati dal Coro del Regio sotto la guida di Ulisse Trabacchin. Bravissimi!
Che dire! Applausi e ovazioni a scene aperte. Imperdibile.
A cura di Edwige Mormile
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Torino, 28 febbraio 2025