Recensioni - Opera

A Trento una Bohème semiscenica

La fondazione Haydn di Trento e Bolzano e la sua orchestra affrontano il capolavoro di Puccini

Unici in Italia ad essersi votati da tempo a proposte di opera contemporanea, la fondazione Haydn affronta questa volta un grande classico: La Bohème di Giacomo Puccini. La direzione è stata affidata a Timothy Redmond, mentre la regia di un allestimento semiscenico a Matthias Lošek, coadiuvato per le scene da Norbert Chmel e per i costumi da Oliver Mölter.

Al centro della scena e dell’azione l’orchestra, schierata sul palcoscenico, mentre l’accadimento scenico viene relegato al proscenio. Incombe dall’alto una specie di lampadario luminoso di forma geometrica. Pochi elementi di arredo connotano l’azione in modo sostanzialmente naturalistico: tavoli, sedie, sgabelli, un pannello con delle scritte dovrebbe “fare contemporaneo”.

Prima che inizi lo spettacolo una bambina a proscenio è accoccolata a leggere un libro. All’inizio vengono recitate alcune frasi tratte dal romanzo di Henri Murger “Scene della Vita di Bohème”. La metafora della lettura torna poi nel finale, quando, alla morte di Mimì, la bambina rientra con il suo libro e lo passa a Rodolfo, il quale si mette a leggerlo mentre calano le luci. Forse che lo stesso ha solo sognato tutta la vicenda leggendola nel romanzo? Oppure si tratta di un omaggio alla fonte dell’opera?

Al di là di questa idea, il resto della regia è sostanzialmente convenzionale. Si cerca di utilizzare anche la platea, qualche rimando contemporaneo come l’assistente di Musetta che la fotografa con il cellulare, qualche improbabile accessorio. Tutto ciò non modifica un insieme sostanzialmente scontato e con poche idee. Peccato perché l’occasione poteva essere ghiotta per costruire un bel gioco scenico con i cantanti, i quali invece si muovono con parecchi impacci soprattutto nel primo e secondo atto, in cui viene richiesta verve e partecipazione scenica.

Il coro che entra dalla platea è lento e spaesato e la disposizione scenica dello stesso più che tradizionale. Meglio il finale, in cui viene richiesta più compostezza agli interpreti.

L’orchestra Haydn di Trento e Bolzano era diretta da Timothy Redmond, che sceglie una lettura classica e rigorosa del lavoro pucciniano. Dà il meglio di sé nelle volute sinfoniche del quarto atto, ma resta poco teatrale negli atti più concitati in cui c’è anche qualche difficoltà di coordinazione con il coro e con i cantanti. Nel complesso il suono dell’orchestra è turgido e voluttuoso e si percepisce l’assidua frequentazione di un coté musicale decisamente sinfonico. La qualità c’è tutta, lo stile pucciniano sarebbe da affinare.

I cantanti sono volonterosi e nel complesso la resa musicale è soddisfacente, con un ultimo atto ben cantato e che coglie il versante emozionale della partitura. Certo la mancanza di verve scenica influisce non poco sul risultato delle scene più concitate. La Bohème è opera da cantare e da recitare e in questo senso è forse la più complessa del maestro lucchese.

Spicca perciò la Musetta di Galina Benevich, che ha voce potente e ben calibrata, ma soprattutto riesce a rendere con convinzione il suo personaggio. Lo stesso dicasi per lo Schaunard di Gianni Giuga, magnetico nella recitazione, spigliato e ben impostato nel canto. Matteo d’Ippolito, Colline, caratterizza il filosofo in modo corretto, azzeccando una buona interpretazione di Vecchia Zimarra.

Più convenzionali e meno convincenti scenicamente gli altri. Alessandro Scotto di Luzio canta Rodolfo con misurata prudenza, ma non è quasi mai convincete nella recitazione. Alexandra Grigoras è una Mimì corretta ma che non lascia il segno. Il Marcello di Matteo Loi coglie dei bei momenti vocali, senza mai “entrare” nel personaggio. Completano il cast Lorenzo Ziller e Federico Evangelista.

Buon successo nel finale.

Raffaello Malesci (Giovedì 22 Febbraio 2024)