Recensioni - Opera

A Verona Un Ballo in Maschera all'antica maniera italiana

Una messa in scena con antiche tele dipinte da Giuseppe Carmignani nel 1913

A seguito di un meticoloso restauro, curato da Rinaldo Rinaldi e reso possibile grazie all’intervento della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza, hanno ripreso vita gli splendidi pannelli, datati 1913 e dipinti da Giuseppe Carmignani i quali, con i loro arditi scorci prospettici, sono il fulcro attorno al quale ruota l’allestimento de Un ballo in maschera, coprodotto col Teatro Regio di Parma e l’Auditorio di Tenerife, proposto dal Teatro Filarmonico di Verona come ultimo titolo della Stagione 2023.

Una serie di poetiche immagini, proiettate durante il preludio, mostra l’abile lavoro svolto dai restauratori che hanno optato per la mera conservazione dell’esistente evitando di ricostruire o sostituire quanto non fosse più recuperabile a causa di un eccessivo deterioramento.

Elegantissime e maestose le ambientazioni del primo atto in cui sia la sala del palazzo del Governatore sia l’abituro dell’indovina puntano su una visione di scorcio che crea straordinarie illusioni di profondità. Una grandiosità e una minuziosa cura del dettaglio che in altri momenti, come durante la scena dell’orrido campo in cui le perdite del materiale originale risultano più ingenti, si dissolvono in una maggior linearità e semplicità della scena.

Rispettosi dell’allestimento originale i bei costumi seicenteschi di Lorena Marin, le luci quasi fisse, a ricordare forse l’uso antico, di Andrea Borelli e la garbata regia di Marina Bianchi.

Sicura e decisa la direzione di Francesco Ivan Ciampa che ben si destreggia all’interno della partitura verdiana sottolineando i momenti di tragica cupezza, così come quelli di maggiore leggerezza o di spiccato lirismo. Particolarmente pregevole l’attenzione costante al palcoscenico finalizzata al mantenimento di un buon equilibrio e di un perfetto accordo fra buca e cantanti.

Luciano Ganci è un grande Riccardo, leale, generoso, sempre a testa alta, perfetto nel portamento e nello slancio; la voce è generosa, l’emissione omogenea in tutti i registri, il timbro luminoso, il fraseggio assai curato.

Sempre ad alti livelli anche il Renato di Simone Piazzola il quale delinea con classe la nobiltà e i diversi passaggi psicologici del proprio personaggio; di ottimo calibro e di piacevole timbratura lo strumento esibito, particolarmente toccante l’esecuzione di “Eri tu” in cui la qualità della parola cantata ben si sposa con le espressioni del viso e gli atteggiamenti del corpo.

Daria Masiero è un’Amelia corretta, scenicamente efficace, ma non dotata di quella tipica vocalità da soprano lirico spinto richiesta da un ruolo come questo per il quale si sentirebbe ad esempio la necessità di un registro centrale maggiormente corposo.

Anna Maria Chiuri veste i panni di un’Ulrica intrigante, forse non così scura nel registro inferiore, ma caratterizzata da un fraseggio magistrale e da una capacità interpretativa di vaglia.

Vivace, piacevolmente garrulo, ma lontano da vane leziosità l’Oscar di Enkeleda Kamani che brilla per nitore e luminosità dello strumento.

Bene anche i comprimari: Fabio Previati (Silvano), Romano Dal Zovo (Samuel), Nicolò Donini (Tom), Salvatore Schiano Di Cola (un giudice/ un servo di Amelia).

Precisi gli interventi del Coro, ben preparato da Roberto Gabbiani.