MARK MORRIS EXCURSIONS TOUR 2014 AL TEATRO RISTORI
Salutato come uno dei più grandi coreografi viventi, Mark Morris ha avuto un profondo impatto sul mondo della danza da quando, nel 1980, è apparso sulla scena, ed ancora continua a creare interesse e curiosità in milioni di appassionati di tutto il mondo !
La sua coreografia è nota per la peculiarità di accompagnarsi in strettissimo rapporto alla musica, con cui si modella e cesella, nei ritmi e nei toni, in movimenti, passi e nei gesti.
Ed è da più di 30 anni, che il Mark Morris Dance Group sta intrattenendo ed entusiasmando migliaia di appassionati di danza, di critici e di danzatori di tutto il mondo, con la sua sorprendente tecnica artistica e il suo stile unico di danzare sempre e soltanto con musica dal vivo.
Quest'anno il Mark Morris Dance Group ha sviluppato il programma "Escursions 2014 Tour" che ora approda in molte città d'Italia e che il Teatro Ristori di Verona ha avuto il privilegio di ospitare.
Da sempre Morris non è solo un grande coreografo, ma un sensibile filantropo, che pone la danza al centro dello sviluppo sociale delle persone e fonte di stimolo in tutti gli ambiti possibili delle relazioni umane : studenti, anziani, disabili, giovani a rischio, appassionati di danza.
Egli svolge queste attività filantropiche non solo a Brooklyn ( New York ) sede della compagnia, ma in altre città degli USA e nel resto del mondo, specie dell'estremo oriente.
Per cui questo progetto,"Escursions 2014 Tour", ha lo scopo di promuovere lo scambio culturale e le relazioni sociali attraverso una doppia proposta, in quanto Morris ha diviso la compagnia dell' MMDG in due sezioni: una che si esibisce in occidente, USA ed Europa, l'altra che porta lo spettacolo in oriente, Birmania, Cambogia, Timor Est, Taiwan. Le due compagnie non terranno solo spettacoli ufficiali nei vari teatri del mondo, ma, in veste di formatori e didatti, svolgeranno attività basate sulla danza sia con strutture pubbliche che private dei paesi nei quali si trovano. Infine il Tour si concluderà in Cina dove le due compagnie si riuniranno.
A Verona il coreografo, presente in sala ed applaudito calorosamente a fine concerto, ha portato cinque balletti. "Excursions", del 2008, ha aperto la serata con l'accompagnamento dal vivo al pianoforte di brani di Samuel Barber; sulle cui note si sono gemellate nella danza semplicità e raffinatezza, in un lavoro in cui Morris usa immagini vivide e caricaturali di un'America d'altri tempi, dove i colori della scena e dei semplici costumi si sposano al percussivo martellare del piano, a volte lento ed ispirato, a volte più battente, su cui spiccano i movimenti e i gesti spezzati e ritmici dei danzatori, automi rigidi e cadenzanti testimoni di un tempo che fu. Nel linguaggio di Morris, l'attenzione non è mai rivolta alla tecnica, anche se è spesso evidente lo sforzo fisico compiuto dai ballerini, ma allo stile, che mantiene le sue linee infantilmente innocenti, non di rado incantevoli.
"A Wooden tree", del 2012, conserva l'immagine fotografica e atemporale delle tradizioni statunitensi, filtrate dalle canzoni e dalle musiche dal vivo di 14 composizioni di Ivor Cutler, poeta surreale e anticonformista, che ci riporta alla saga di una famiglia di coloni che festeggiano con crescente entusiasmo un albero frondoso. Qui, ogni suono, parola, ritmo di Cutler, trova una controparte nei movimenti e nei gesti della coreografia minimalista di Morris, che interpreta la memoria popolare con una danza stravagante e ironica, basata su elementi cadenzati e ripetuti, composta da passi saltellati, gesti caricaturati e corpi che ripetono uno stile caratterizzato da rigidità del busto, piegamenti sulle gambe e braccia molli. Una coreografia didascalica e pedagogica, un vocabolario di danza quasi infantile, in cui Morris ricama gesti che virano tra il mimo letterale e l'interpretazione bizzarra.
Il risultato è divertente, selvaggio, folle, ma la cosa migliore è la tenerezza con cui Morris cattura nella danza le canzoni di Cutler, le cadenze anglosassoni pizzicate al violino ed alla voce o accennate dal diafano aspirare dell' harmonium. Burattini addobbati in tinte pastello, nei costumi elementari di Elizabeth Kurtzman, i danzatori rievocano, con una certa ossessione dei loro girotondi e dei loro giochi, atmosfere e tradizioni che ricordiamo fissate in foto sbiadite in bianco e nero.
Anche "Words" ripete questo stile di danza minimale e cadenzata, che sottolinea ogni nota, ogni battuta della musica, quasi un' euritmia pedagogica dell'Arte, dove musica e gesto, insieme ai costumi uguali e all'atmosfera dai colori pastello delle luci sul fondale, pare una sorta di spartito colorato in movimento. Le "Parole" di Morris sulla scena, sono a volte chiare a volte incomprensibili e mostrano quanto articolato sia il loro potere nella relazione. Come sempre il linguaggio della danza di Mark Morris segue il fraseggio musicale rigoroso, questa volta del Lied " Lieder ohne Worte (Romanze senza parole) " di Felix Mendelssohn, spartito scritto intorno alla metà dell'800 e intriso di una miscela musicale variamente regolare e irregolare (in tempo ternario). Le figure alternano i passi a due della coppia principale alle dinamiche di gruppo, dove l'interazione tra la continuità calma dei duetti si alterna alle entrate - uscite di tutto il gruppo dai tendoni della scena, in un'altalenante attività sia nel centro che nella periferica del palco. A volte un visitatore si avvicina alla coppia, ma rimbalza come respinto da un campo di forza opposto. Verso la fine, come caricato da un trillo di violino e dal ruotare sul posto dei compagni, ecco congelarsi con le braccia aperte quasi ad abbracciare il pubblico, Aaron Loux, forse il più entusiasta e spiritoso interprete della compagnia.
A continuare la presentazione di momenti di vita reale filtrati attraverso la danza, segue il duetto del 2013 “Jenn and Spencer”, creato appositamente per due ballerini della compagnia: Jenn Weddel e Spencer Ramirez, qui a Verona sostituito dal ballerino di colore Brandon Randolph. La magia di una coppia che danza è l'occasione per una straordinaria esplorazione del duetto, del pas de deux, dove le tensioni turbolente e dettagliate della Suite di Henry Cowell per violino e pianoforte, fanno da sfondo al dialogo viscerale, carico di conflitto e desiderio dei protagonisti, che si lanciano in un duetto avventato, ironico, gioioso, inconfondibilmente drammatico ed adulto. La ricerca di questa coreografia si basa su un linguaggio contrastante, dove si alternano quadri romantici e intensi dove i corpi si uniscono, ad altri nei quali la tensione è feroce e rabbiosa, il rapporto difficile, brusco e distante, e l'intesa è impossibile ! Il modello è quello Morrisiano di accompagnare la danza agli accenti della musica, rappresentando la vita con un distacco Brechtiano, privo di sentimento e di accese espressioni emotive, col tipico accennare le azioni reali con minimali cadenze gestuali distaccate e ieratiche. Inizialmente antagonisti nervosi e staccati, lei bianca, lui nero, in nessun modo collaborativi e spesso vivendo isolati una danza solitaria, i due danzatori rappresentano una coppia che si trascina stancamente nell'immutare del tempo, in un viaggio a ritroso vissuto su un piano bidimensionale, tra luci diffuse e tagli radenti di luce nel buio, dove lei, sola, protende morbidamente le braccia e lui, solo, dipana i suoi gesti su passi di antica memoria. I ballerini scavano cerchi sul palco, piegando e girando sui piani del corpo, guardando l'un l'altro con circospezione, cadendo, avvinghiandosi a terra, sottolineando coi movimenti annichiliti e strozzati dei corpi le note staccate di pianoforte e violino, irrigiditi e impediti da sequenze di suoni a volte cadenzati e lenti, altre volte struggenti o cerimoniosi; due anime che vivono separatamente il conflitto, lei bianca nell'acuto dramma della separazione e dell'isolamento, lui nero in un più dinamico e conciliante atteggiamento. E' un rapporto tormentato da un malessere quasi distruttivo, ma poi, qualcosa cambia e man mano la coppia ritorna a sondare il terreno franato dello stare insieme, nella speranza che la loro tempesta non sia la fine di tutto, ma invano. Il duetto si conclude con un brusco finale, dove la rabbia dilaga !
Dal 1980 Mark Morris sta percorrendo una ricerca che si può definire di "danza democratica", emersa dai primi esempi postmoderni della Judson Church di New York, attraverso i cui infantili precetti egli ha codificato l'ingenuità di un movimento che fa sembrare la danza un momento di vita quotidiana e reale. Generalmente il materiale coreografico è semplice, caratterizzato da cellule brevi sottolineate da pause frequenti; il carattere continua a cambiare, per cui non esiste un continuum ritmico, ma sezioni d'intensità velata a volte in crescendo altre volte in calando, con una costante ritualità visiva che, paradossalmente, appare statica pur rimanendo nel movimento, e, per analogia, ricorda il ruolo narrativo e comunicativo dei dipinti delle chiese medioevali.
Questa matrice di rigore pedagogico-culturale e di strumento d'elevazione sociale, che contraddistingue la ricerca di Morris nella danza, appare compiutamente nell'ultima pièce della serata dal titolo "Polka" (1992). Vivace ed allegra, con costumi finalmente diversi (ora sono corte tuniche leggere dei colori della terra e dell'acqua ), in questa più giovane coreografia, Morris mette in scena esseri volanti ed eterei, spiriti dei boscchi, che si librano in processione circolare in una danza sacra e profana al contempo intorno a un invisibile fuoco, con incastri tra passi lunghi di corsa a passetti di marcia, scanditi da movimenti di braccia eseguiti all'unisono sul quarto movimento del "Grand Duo per violino e pianoforte" che Lou Harrison scrisse nel 1988. Una musica antica e romantica di grande suggestione, che bene si presta ad un Morris 36enne che crea una coreografia densa di rituale energia, con danzatori che si aprono e chiudono all' uniscono in cerchio, in un flusso continuo di braccia e di gambe piegate, sollevate ed estese, non più intercalato da pause e sequenze, ma costante nel semplice alternarsi di percorsi geometrici danzati sul palco. Una danza che dura poco, ma che risulta vitale come tutti i bei ricordi di storia primordiale e di immagini ancestrali e tribali, dove danzatrici-vestali e giovani efebi si intrattengono in dionisiache feste, tra le fronde e i cespugli, tra cieli al crepuscolo e carri di Tespi illuminati da una luna pagana.
Cristina Fontana 31/10/2014