Recensioni - Opera

Ah no, è follia!

Convince la nuova produzione di Rigoletto ambientato in un ospedale psichiatrico alla Fenice di Venezia

Può l’amore ossessivo di un genitore divenire malato, inquinato, bloccante, tanto da condurre alla morte? La risposta di Damiano Michieletto a questa domanda è senz’altro affermativa e la vicenda di Rigoletto diviene l’emblema di questo assioma.
Lo spettacolo in scena alla Fenice, già presentato alla Dutch National Opera di Amsterdam, racconta l’esperienza di un padre che si trova a sopravvivere alla propria figlia, della cui morte è stato la principale causa. Nella stanza dell’ospedale psichiatrico in cui è internato egli rivive in modo ossessivo tutte le fasi che l’hanno condotto alla catastrofe; le immagini di Gilda bambina lo perseguitano e acuiscono in lui il senso di colpa per aver tanto tarpato le ali alla ragazza da far sì che le braccia del duca le potessero sembrare l’unica speranza, l’unica via di fuga, per la quale sarebbe valsa anche la pena immolarsi.

Ed ecco moltiplicarsi all’infinito nel delirio immaginifico di Rigoletto il volto del duca, riproposto in modo seriale dalle maschere indossate dai membri del coro, i quali passano dall’essere generici addetti dell’ospedale al divenire fantasmi riprodotti dalle fantasie del protagonista. Il dramma viene tanto decontestualizzato da diventare universale, così scarnificato da evidenziare, senza possibilità di edulcorarla, la brutalità sottesa alla vicenda stessa. Il candore accecante della stanza d’ospedale svanisce soltanto a tratti, grazie alle proiezioni che riproducono i colorati disegni di Gilda bambina, nei quali la figura materna è cancellata, o grazie alle immagini in bianco e nero che ripropongono i momenti maggiormente sereni dell’infanzia; il bianco asettico che tutto pervade entra volutamente in contrasto col rosso acceso del sangue che appare con frequenza sulla scena e, nel finale, getta la sua luce impietosa, senza filtri, su un Rigoletto intento, al culmine della sua nevrosi, a scavarsi da solo la fossa. Una regia quella di Michieletto in cui tout se tient, che non lascia spazio a tempi morti, che mantiene viva la tensione in un crescendo di emozioni, che fa volare lo spettacolo in un soffio. La cura del dettaglio, a volte illuminante, a volte spiazzante, evidenzia la sapienza registica sottesa e fa sicuramente la differenza nella realizzazione di uno spettacolo arguto e dinamico.

In perfetta sintonia con le scelte registiche, la direzione di Daniele Callegari spoglia la partitura di ogni successiva tradizione, puntando solo alla cruda essenza. Il gesto è come sempre elegante, ma i tempi sono incalzanti e implacabili, come implacabile è la vicenda rappresentata.

Luca Salsi nel ruolo eponimo domina la scena in modo magistrale, fornendo non solo una prova d’eccezione dal punto di vista vocale, ma vincendo anche a piene mani la sfida interpretativa proposta dalla regia. Con lui la parola si fa canto e il canto parola, quasi a sottolineare la difficoltà del protagonista costretto dalla sua follia a rivivere continuamente la propria tragedia. Maiuscolo a questo proposito il Sì, vendetta… che viene declamato quasi in preda ad una rabbia compressa, irrefrenabile, tanto lontano dalla tradizione, ma al contempo così cristallino.
Ivan Ayon Rivas è un duca di Mantova sereno e radioso, dallo squillo prezioso e senza incertezze, limpido nella linea di canto, quasi premorale nella sua baldanzosa sicurezza. Claudia Pavone veste i panni di una Gilda volitiva e per nulla debole, desiderosa di fuggire dalla gabbia creatale intorno dal padre; la voce è pulita e solida in tutti i registri, ricca di colori, la tecnica impeccabile. Buono anche lo Sparafucile di Mattia Denti, forse leggermente meno a fuoco nel primo duetto rispetto al terzo atto; al suo fianco spicca la voce scurissima della Maddalena di Valeria Girardello.Bene anche le parti di contorno: Carlotta Vichi (Giovanna), Gianfranco Montresor (Monterone), Marcello Nardis (Borsa), Armando Gobba (Marullo), Matteo Ferrara (Conte di Ceprano), Rosanna Lo Greco (Contessa di Ceprano). Preciso il Coro, ben preparato da Claudio Marino Moretti.