L'ultimo capolavoro donizettiano proposto in un allestimento ispirato al film Parasite
Risulta sempre estremamente interessante e stimolante assistere ad un'edizione critica di una partitura, in particolare poi quando si tratta di un melodramma tra i più noti, amati e stabilmente presenti nei cartelloni dei teatri internazionali. Don Pasquale infatti, forse grazie a quella miscela agrodolce che lo caratterizza e ne marca fortemente i tratti, non ha mai avuto un momento di declino dal suo debutto a Parigi nel gennaio del 1843 ma anzi, con il trascorrere degli anni, ha potenziato i suoi elementi più amati e a tratti quasi contemporanei. Questa edizione critica presentata dal Festival Donizetti costituisce allora una rara occasione di approfondimento della elaborata genesi artistica del compositore e, tra le varianti, risulta certamente di assai interessante ascolto, per fare un solo esempio, il rimaneggiamento del celeberrimo duetto Don Pasquale-Malatesta.
Debuttante in Italia con questo spettacolo sorto in coproduzione con l’Opéra di Dijon la regista Amélie Niermeyer si rifà come contesto drammaturgico di ispirazione al film Parasite di Bong Joon-ho del 2019, vincitore della Palma d’oro alla 72ª edizione del Festival di Cannes, cercando di evidenziarne le tematiche sociali. Ecco dunque che Malatesta e Norina sono due squattrinati (lei vive in una macchina) che, grazie all’ingegno del giovane, tentano il colpo grosso per uscire dalla loro penosa condizione.
Don Pasquale qui appare come uno dei tanti esponenti di quel mondo dorato che, vivendo spesso nel lusso per non sentire il peso della solitudine e facilmente sensibile alle lusinghe, diventa facilmente preda dei raggiri di Malatesta. In questo contesto anche Ernesto ha i tratti di un giovane viziato mentre Norina, ambiziosa, vincente e volitiva, è vista come il cardine centrale della drammaturgia.
L’intento registico originale, certo per alcuni aspetti di un certo interesse, non trova però una ugualmente felice realizzazione pratica a causa di un lavoro su attori e caratteri elaborato un po' troppo in superficie. Visualizzato attraverso uno spazio scenico rotante che rivela alternativamente la casa del protagonista e la macchina di Norina il lavoro sembra infatti quasi esaurirsi in questo, finendo per relegare in sottofondo ogni più elaborata chiave interpretativa. Uno spettacolo dagli interessanti spunti dunque ma che avrebbe forse meritato un maggior approfondimento.
Nel suo complesso buono il cast in palcoscenico. Roberto De Candia cesella un Don Pasquale di gran classe. L’intelligenza vocale e scenica dell’artista gli permette infatti di servirsi dell’impostazione registica originaria per svilupparne al meglio le singole dinamiche inerenti il suo personaggio. Mai forzato o caricaturale ma sempre basato su di un'amarezza sottile che ne marca i tratti pur nella gaiezza, il suo carattere risulta quasi intagliato nel ghiaccio, del quale conosce la freddezza tanto quanto la fragilità esibendo un bell’esempio di intelligente lavoro teatrale sul carattere.
Proveniente dalla Bottega Donizetti Giulia Mazzola quale Norina esibisce un timbro assai interessante che usa con estrema perizia e sicurezza tecnica così come il suo 'compagno di studi' Dario Sogos che tratteggia un Malatesta sornione con precisione e misura. Javier Camarena ha ben delineato il carattere di Ernesto attraverso la sua brillante vocalità ed una professionalità sempre marcata e vincente. Bene il Coro dell’Accademia della Scala diretto da Salvo Sgrò.
Iván-López-Reynoso alla guida dell’Orchestra Donizetti Opera ha diretto con misura ottenendo buona compattezza di suono ed un buon amalgama buca-palcoscenico. Applausi sentiti per questi due appuntamenti orobici che hanno ben saputo combinare intrattenimento e ricerca, intento questo su cui dovrebbe sempre basarsi un Festival virtuoso.