Recensioni - Opera

All’Olimpico un Don Giovanni senza possibilità di redenzione

Al Vicenza Opera Festival grande successo per il capolavoro mozartiano che Iván Fischer ha eseguito nella versione di Vienna

Fa sempre un certo effetto uscire da teatro dopo aver assistito ad una delle rare rappresentazioni del Don Giovanni di Mozart nella versione di Vienna. Mancando infatti il sestetto finale che, oltre ad avere una funzione di “morale della storia”, segna anche una sorta di ritorno alla vita, alla normalità, terminare sui cupi accordi che sanciscono lo sprofondare di Don Giovanni all’inferno lascia nell’animo dello uno strascico di inquietudine che riverbera anche una volta usciti da teatro.

Iván Fischer, come primo titolo della trilogia mozartiana che fino al 2027 costituirà il fulcro del Vicenza Opera festival in collaborazione con la Società del Quartetto, ha scelto proprio questa versione che non concede sconti al protagonista, evitando qualsiasi forma di assoluzione.
Nell’interpretazione registica, ad opera sempre di Fischer, il palco del Teatro Olimpico si anima di figuranti ricoperti di biacca, vestiti e truccati da statue, quasi fosse la scenografia stessa dello Scamozzi ad animarsi e a prendere parte alla vicenda.
Presenti fin dalla prima scena -il Commendatore non muore in duello ma travolto da un gruppo di statue che Don Giovanni gli fa rovinare addosso- questi mimi-danzatori-cantanti, che si fanno carico anche dei pochi interventi del coro, contrappuntano la vicenda, sia agendo sulla scena sia semplicemente trasformandosi in elementi architettonici intorno ai quali si muovono i protagonisti, sino al finale in cui saranno loro a ghermire Don Giovanni e a trascinarlo agli inferi, quasi fosse il teatro stesso a volersi riappropriare dell’anima del libertino.  A parte quest’idea lo spettacolo procede su binari molto tradizionali. La scenografia di Andrea Tocchio si limita ad un paio di praticabili -d’altronde all’Olimpico non ha senso fare molto di più- mentre gli eleganti costumi di foggia settecentesca firmati da Anna Biagiotti vestono personaggi che si atteggiano in modo abbastanza convenzionale. In sostanza: niente che disturbi ma neanche niente che veramente conquisti.

A conquistare è invece l’aspetto musicale grazie ad una direzione magistrale ed un cast notevole. Fischer ha optato per una concertazione asciutta, a tratti nervosa ma estremamente moderna e, soprattutto, attentissima alla parola. Non solo le inflessioni nel canto ma anche i recitativi sono cesellati con grande maestria al punto che ogni frase acquisisce la sua giusta sfumatura espressiva; basti pensare al leggero velo di amarezza che ammanta il “voi sapete quel che fa” di Leporello al termine dell’aria del catalogo. Un’interpretazione dai tratti marcatamente drammatici che ancora una volta ha rivelato lo straordinario livello raggiunto dalla Budapest Festival Orchestra e del suo fondatore.

Tuttavia certe alchimie riescono al meglio quando si può contare su un ensemble di cantanti di eccellente livello, circostanza che si è puntualmente verificata in quest’occasione.
Andrè Schuen è stato un Don Giovanni seducente, carismatico, vocalmente e scenicamente spavaldo affiancato dal Leporello sottilmente ironico e mai sopra le righe di Luca Pisaroni. Il comparto femminile vedeva coinvolte la Donn’Anna incisiva e di grande spessore drammatico di Maria Bengtsson, la Donna Elvira intensa ma forse non sufficientemente volitiva di Miah Persson e la Zerlina luminosa di Samantha Gaul che sostituiva l’indisposta Giulia Semenzato. Il Don Ottavio di Bernard Richter si caratterizzava per il timbro robusto e corposo, in netto contrasto con i tenori di grazia che di solito affrontano questo ruolo e rimarchevoli sono state anche le prove di Daniel Noyola, energico Masetto e Krisztián Cser, autorevole Commendatore.

Al termine applausi entusiasti da parte di un Teatro Olimpico che già da alcune settimane aveva fatto registrare il sold out per tutte le repliche.