Recensioni - Opera

Alla Scala dilaga il Fantasy nell’Oro del Reno targato McVicar

Singolare messa in scena del regista scozzese. Ottima direzione di Alexander Soddy, a fasi alterne la compagnia di canto

Al Teatro alla Scala inizia con L’Oro del Reno un nuovo ciclo dell’Anello del Nibelungo di Richard Wagner, nella messa in scena del regista scozzese David McVicar. Sul podio si alterneranno per tutte e quattro le opere in programma Simone Young e Alexander Soddy.

Curiosa messa in scena quella proposta da McVicar, in una commistione di stili fra l’etnico e il fantasy, con abbondanti citazioni filmiche da “Il Signore degli anelli”, fino “Al trono di Spade”, passando per serie televisive di successo come “Carnival Row”. Ne deriva che gli Dei del Walhalla sono figure dalla sessualità indecifrabile, ammantate di vestiti eterogenei – i costumi sono di Emma Kingsbury –, con in testa strane corna da muflone e sul viso improbabili maschere. Maschere che assumono una valenza simbolica legata alla perdita della giovinezza e dell’immortalità: esse vanno e vengono in relazione a Freia e all’anello. L’oro stesso è una maschera, che ritorna ingigantita nel finale. I giganti portano sulle spalle grandi maschere. Uno stilema estetico insomma, dai molti significati possibili, ma certamente non di limpida decifrazione.

La scena, dello stesso McVicar e di Hannah Postlethwaite, è ammantata di rune e segni magici, gioca interamente su una matericità argentea ed è costantemente immersa in una fumosa caligine. La mano è il simbolo centrale della messa in scena, mano che vediamo durante il preludio, mani che ritroviamo tridimensionali nella scena iniziale del Reno, mani immense che appesantiscono i giganti Fasolt e Fafner, impacciati su scomodi trampoli. Mani che simboleggiano il possesso, la brama, l’avidità, cosa chiara quanto scontata e già vista.

L’Oro viene personificato in un mimo mascherato che appare seminudo al sorgere del sole e che ritorna scarnificato dall’avidità degli Dei nel finale. Scomparsa la scena del Reno, appare una grande scalinata, che suggerisce la salita al mitico castello del Walhalla. Questa assume varie posizioni, grazie all’utilizzo di una pedana girevole.

Nell’antro di Alberich campeggia un teschio dorato, che aprendosi mostra le magie del nano, in verità niente di più che macchine sceniche elementari mosse da mimi. I Nibelunghi schiavi di Alberich sono una masnada di piccoletti grotteschi e rumorosi, a metà fra nani e hobbit. Nel finale torna la scalinata su cui gli Dei si posizionano anziché ascendere al Walhalla.

Molte cose si assommano nella messa in scena, l’impressione generale è però di confusione: le suggestioni simboliche perdono chiarezza e intellegibilità, l’allestimento scade nel favolistico e nell’irreale, le idee si annacquano nel macchiettistico, la gestione dei cantanti risulta statica e ripetitiva.

Alexander Soddy dirige in modo convincente, mentre la compagnia di canto viaggia a fasi alterne.

Ottimo l’Alberich del basso islandese Ólafur Sigurdarson, che convince per voce piena, sonora e timbrata oltre che per un’ottima interpretazione pur nell’improbabile costume. Spiccano poi il Donner di Andrè Schuen, dotato di bella voce, e la Erda di Christa Mayer, che svetta nella breve parte per timbro e linea di canto. Buona prova anche per la Freia di Olga Bezsmertna, per il Froh di Siyabonga Maqungo e per le ondine di Andrea Carroll (Woglinde), Svetlina Stoyanova (Wellgunde) e Virginie Verrez (Flosshilde).

Sottotono invece il Wotan di Michael Volle, dalla voce opaca e stanca, così come non in serata Okka von der Damerau, che non riesce a dare il piglio necessario al personaggio di Fricka. Al Loge di Norbert Ernst, così come al Mime di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke mancano lo squillo necessario ad essere incisivi e convincenti.

I giganti Fasolt e Fafner erano rispettivamente Jongmin Park, ben impostato e sonoro, e Ain Anger, sostanzialmente modesto.

Buon successo per tutti gli interpreti con un supplemento di applausi per l’Alberich di Ólafur Sigurdarson.

Raffaello Malesci (Martedì 5 Novembre 2024)