Recensioni - Opera

Amleto al Teatro Romano: i mattatori recitano per conto loro

L’estate teatrale veronese inaugura la stagione di prosa con Amleto di William Shakespeare per la regia di Armando Pugliese.

L’estate teatrale veronese inaugura la stagione di prosa con Amleto di William Shakespeare per la regia di Armando Pugliese.

 

 

Il regista inquadra il testo in un ambiente atemporale semi-classico, con Amleto vestito di bianco che parte da un letto d’ospedale e gli altri personaggi della corte in rigoroso abito storico. Pugliese strizza l’occhio alla pazzia di Amleto e resta molto attento ad esaltare le capacità molto diverse dei suoi interpreti: la prestanza fisica del protagonista Alessandro Preziosi, la vocalità straripante e arguta di Franco Branciaroli interprete di Claudio, l’algida freddezza di Carla Cassola interprete di Gertrude e la comicità napoletaneggiante di Silvio Orlando nei panni di Polonio. Viste queste diversità bisogna dare atto a Pugliese di essere riuscito a mettere insieme uno spettacolo tutto sommato fluido e senza sbavature anche grazie a numerosi e opportuni tagli.

 

Non si può tuttavia non rimarcare quanto segue: Alessandro Preziosi sfodera la sua prestanza fisica, recita con passione e sfrutta il suo appeal; Branciaroli usa mille voci, legge il testo in modo ironico, innovativo, si muove poco, gioca con la caricatura di se stesso; Orlando sa far ridere e quello fa, gira Polonio a suo uso e consumo, lo avvicina a De Filippo; Carla Cassola recita in modo meccanico e distaccato; Silvia Siravo interpreta Ofelia come una bambola meccanica e così via tutti gli altri. Il tutto lascia alla fine la vaga sensazione che il povero regista abbia raccolto una carovana di attori che “quello” sanno fare e puntualmente “quello” fanno che si tratti di Shakespeare, Checov, Goldoni e così via.

Questa è la pecca maggiore di questo allestimento, ogni miglior intento viene vanificato dai quattro “mattatori” che recitano la loro versione del personaggio, quello che fanno gli altri poco importa, lo spettacolo nel suo insieme men che meno. Ogni coerenza viene perduta, accanto ad un Amleto sostanzialmente classico, troviamo un re Claudio addirittura autoironico e Polonio che sembra uscito da una commedia di Scarpetta.

Purtroppo questa, a nostro modo di vedere, è la grossa pecca di molto teatro italiano: la mancanza di un ensemble coeso, di un gruppo che abbia un intento e che abbia dimestichezza a lavorare insieme.

Basta ricordare le compagnie straniere che negli anni passati L’Estate Teatrale Veronese ha lodevolmente ospitato a Verona, la Royal Shaekespeare Company e il Berliner Ensemble solo per ricordare i maggiori. Ebbene gli spettacoli presentati da queste compagnie, che possono essere piaciuti o meno, non è questo il punto, avevano una caratteristica precipua, e questo è il punto: tutti gli attori recitavano insieme e per un intento, la buona riuscita dello spettacolo nel suo complesso. Non solo, in questi casi si percepiva la lunga frequentazione degli attori fra di loro, uno stile omogeneo frutto di un lavoro d’insieme, basta ricordare lo splendido Sogno del Watermill Theatre sempre visto a Verona.

E’ chiedere troppo dal teatro italiano? Forse. Allora per ora accontentiamoci di un Amleto fatto di pezzi, di singole bravure, di caratteristiche proprie degli attori e non dello spettacolo.

A. Manuelli (01/07/08)