Recensioni - Opera

Anna Bolena al LAC di Lugano

Diego Fasolis propone il capolavoro donizettiano nella sua versione integrale, con il raffinato allestimento di Carmelo Rifici

Alla sua terza produzione operistica dopo La Traviata del 2018 e Il Barbiere di Siviglia della scorsa stagione, il LAC di Lugano propone Anna Bolena, tra i più ispirati titoli donizettiani, purtroppo rappresentato di rado nonostante il rilancio scaligero del ’57 con Callas sul palco e Gavazzeni sul podio.

Il Maestro Diego Fasolis sceglie di riportare in vita questa pietra miliare del romanticismo ottocentesco nella sua forma più pura, con una curatissima ricerca filologica: riaperti tutti i tagli per un totale di quasi quattro ore di musica, diapason a 430 Hz e strumenti d’epoca ben padroneggiati dall’ensemble I Barocchisti, qui rinominati I Classicisti spaziando in altro repertorio.

Oltre alle singolari sonorità riscoperte grazie a questo assetto, la concertazione di Fasolis restituisce una Bolena inedita sia dal punto di vista dinamico sia dal punto di vista agogico. L’enfasi data a percussioni e ottoni tende a sottolineare il turgore violento della partitura, con una resa più espressionista che dalla morbidezza lirica cui probabilmente il nostro orecchio è più abituato. Anche lo stacco dei tempi evidenzia grande personalità e imprevedibilità, alternando un generale ritmo sostenuto ad ampie parentesi prossime al largo che vanno sovente a creare una sorta di sospensione drammatica di grande effetto.

Anna Bolena è qui nuovamente interpretata da Carmela Remigio, dopo il debutto bergamasco del 2015 che le valse il Premio Abbiati come miglior cantante. Il soprano abruzzese porta a casa l’impervio ruolo con la sua solita affidabile professionalità, efficace nel trasmettere lo strazio della regina condannata e della donna tradita. Non convince tuttavia appieno dal punto di vista vocale, con tessitura centrale opaca, suoni spesso ingolati e un certo affaticamento nelle agilità. Il tentativo di mascherare queste difficoltà con una recitazione spesso sopra le righe dà sì intensità teatrale alla sua performance, ma tende troppo spesso a sfociare in eccessi veristi fuori misura e contesto.

Limiti purtroppo ancor più evidenti affiancandole in questa edizione una Giovanna Seymour interpretata non da un mezzo ma da un secondo soprano, come voluto dal compositore in origine. Una scelta d’impatto che pone ancor più evidenza sul testa a testa tra le due primedonne, per la corona e per il cuore del re (ricordiamo lo splendido duetto “Sul suo capo aggravi un Dio”, che le vede affrontarsi direttamente).

Ne esce trionfante – come vogliono anche libretto e storia inglese – la Seymour di Arianna Vendittelli, brillante vocalmente e in grado di rendere al meglio una parte complessa e ricchissima di sfaccettature sotto il profilo psicologico, in contrasto l’una con l’altra: il tormento, l’ambizione, il senso di colpa, la passionalità, il candore giovanile. Il soprano romano raccoglie tutto questo in un’interpretazione di lusso, con fraseggio intelligente, freschezza di timbro e squillo cristallino in acuto.

Imponente nella figura e nella voce Marco Bussi, tonante e inflessibile Enrico VIII qui al debutto ma già squisitamente a fuoco, sempre solido nell’emissione e sanguigno nell’intenzione scenica.

Ruzil Gatin si disimpegna perfettamente nei panni di Riccardo Percy – ruolo tenorile assai insidioso - modulando con mestiere il suo generosissimo mezzo vocale di stampo invero più rossiniano, forte di una straordinaria tenuta nelle agilità e nobile linea di canto.

Ottimo il Rochefort di Luigi De Donato, basso con voce debordante e di bella pasta, con solida tecnica a supporto.

Paola Gardina è un sontuoso Smeton, elegante nella prima aria accompagnata dall’arpa (“Deh! Non voler costringere”) e di crescente spessore drammatico in ogni suo successivo intervento, con l’incedere della vicenda.

Fuori fuoco l’Hervey di Marcello Nardis, disomogeneo nell’emissione e non sempre puntuale negli attacchi.

Eccellente il Coro della Radiotelevisione svizzera preparato da Donato Sivo, con una menzione speciale al comparto femminile distintosi per delicatezza d’esecuzione nell’introduzione alla scena della pazzia (“Chi può vederla a ciglio asciutto”).

A valorizzare ulteriormente un quadro musicale di così alto livello nel suo complesso è la raffinata regia del direttore artistico Carmelo Rifici con scene firmate da Guido Buganza, siglando (ancora una volta ottimamente) una collaborazione che dura da ormai vent’anni.

Un’austera architettura rotante, va a ricreare per struttura e movimento una sorta di labirinto fisico e mentale. Qui personaggi hanno libertà di spostamento ma sono al contempo in trappola, in un luogo non protetto dove vivono in eterna ansia di pericolo.
Uno spazio cupo e imponente, valorizzato dal sapiente light design di Alessandro Verazzi, che nei suoi spostamenti – fluidi e funzionali ai numerosissimi cambi scena – restituisce un interessante effetto quasi cinematografico.

Ben studiati i movimenti e le interazioni tra i protagonisti, come anche l’attento impiego di mimi per ricreare una serie di tableaux vivants a rievocare un’alternanza di scene sacre e vicende di corte (soluzione che visivamente ben si sposa con i diversi rallentando della concertazione citati in precedenza, a conferma di una perfetta unità d’intenti tra direzione musicale e scelte registiche che vivono troppo spesso su binari paralleli).

Suggestivi i costumi di Margherita Baldoni, che opta per fogge sobrie in linea con le scene senza scadere nell’oleografico: unici espliciti riferimenti all’epoca sono il costume da caccia di Enrico riprodotto nel celebre ritratto, nonché l’abito, il trucco e il parrucco di Elisabitta bambina, presente in diverse scene come figurante.

In conclusione, un’elegante regia più improntata all’astrazione che all’illustrazione, senza tuttavia trascurare la violenta crudeltà della vicenda e riportando lo spettatore alla realtà con misurate citazioni storiche affiancate ad ampi riferimenti al sangue e alla tortura: un perfetto equilibrio di grande impatto ed efficacia.

Al termine ripetute chiamate alla ribalta per tutti i protagonisti, con ovazioni per il tenore Ruzil Gatin.
 

Camilla Simoncini