
Bigonzetti e la sua Sagra della Primavera
L’Aterballetto di Reggio Emilia, attualmente diretto da Cristina Bozzolini, ha splendidamente chiuso la decima edizione di Parmadanza con due balletti particolari: workwithinwork e Le Sacre coreografati rispettivamente da William Forsythe e Mauro Bigonzetti.
Dato che è impossibile descrivere un balletto di Forsythe pensando ad un lavoro tradizionale, vale invece la pena di sottolineare quanto il suo stile si presenti allo spettatore come un flusso di parole; Forsythe sta a Balanchine come la prosa sta alla poesia, senza per questo togliere importanza ad uno scritto che non sia in rima o versi.
Questo lavoro, nato nel 1998 per il Ballet Frankfurt negli anni della direzione artistica del grande maestro americano, è stato più volte rimaneggiato nel corso delle varie rappresentazioni sia per essere adattato a nuovi danzatori dalle diverse potenzialità, sia perché ogni volta che si rimette mano a qualche cosa, si cerca di migliorarlo sempre di più, in uno slancio che tende a raggiungere la perfezione che ciascun artista sa bene non arriverà mai, perché quel momento significherebbe arrendersi e non aver altro da comunicare. Innanzitutto il titolo, workwithinwork, appositamente scritto in minuscolo, dà l’idea di un gioco di scatole cinesi che sembrano non finire mai, dipingendo i ballerini in pas de deux, pas de quatre, pas de six, come se la scena di moltiplicasse nota dopo nota e i costumi variopinti dei danzatori uscissero dal nero del fondale. La scelta della Bozzolini si è rivelata vincente per tre motivi: in passato l’Aterballetto ha avuto più volte la possibilità di presentare alcuni titoli di Forsythe e quindi questa decisione significa in qualche modo recuperare la tradizione della compagnia stessa. Inoltre il linguaggio del maestro americano arricchisce il vocabolario dei danzatori, che non si limitano a farne un puro esercizio formale. Infine esiste un doppio legame tra i coreografi della serata, dato che Bigonzetti è stato più volte interprete delle coreografie di Forsythe, corroborando così una sorta di unione tra passato, presente e futuro nella figura di colui che per tanti anni ha diretto artisticamente la compagnia di Reggio Emilia.
Confrontarsi con le diverse letture della Sagra della Primavera è un po’ come pensare di rifare il Lago dei Cigni o la Bella Addormentata. Bigonzetti ha avuto questo coraggio ed è stato premiato dal pubblico che ancora una volta ha riconosciuto ed apprezzato le sue doti creative. La sua Sagra non ha del tutto rotto con la tradizione iniziata da Béjart nel segno di una nuova interpretazione del balletto “classico”. Se al suo debutto di Parigi nel 1913 questo spettacolo venne fortemente criticato, a cent’anni dalla sua produzione, questa partitura musicale si rivela ancora una volta con tutta la sua forza carismatica e primordiale. Bigonzetti ha dato un taglio estremamente leggibile e di piacevole semplicità, senza perdere in alcun modo di efficacia. I suoi danzatori, versatili ed eterogenei per figura e doti tecniche, hanno riempito lo spazio scenico illuminato da Carlo Cerri con pochi riferimenti alla tradizione, anche se è riconoscibile una piccola citazione iniziale e finale al sacrificio dell’Eletta. Se il ritmo primordiale della partitura è stato quasi un’ossessione per Pina Bausch e Maurice Béjart pur nella loro evidente diversità di risultato, così non è stato per Bigonzetti che ha lasciato i suoi danzatori liberi di connettersi con la pulsazione ed il respiro dettato dalle percussioni. Le differenze coreografiche tra i sessi vengono eliminate a favore di una fusione che tende a valorizzare il genere umano nel suo insieme. I momenti di gruppo sono risultati sicuramente i più efficaci; il passaggio del cerchio con i danzatori che si scambiano le posizioni con piccoli balzi in senso antiorario restando sospesi su mani e piedi quasi restando accucciati è stato davvero molto scenografico.
Sonia Baccinelli 23 maggio 2013