Recensioni - Opera

BRESCIA: Franca Valeri unica luce in un opaco Giocatore

Che Goldoni non vada interpretato solo in base alla triade “pizzi, merletti e brio, brio, brio!” come sosteneva la Duse è ormai da...

Che Goldoni non vada interpretato solo in base alla triade “pizzi, merletti e brio, brio, brio!” come sosteneva la Duse è ormai dato riconosciuto, ma una lettura che tenda ad incupirlo e smorzarlo al punto da soffocare completamente il ritmo della sua scrittura può risultare eccessivo nell’altro senso.
Il Florindo del “Giocatore”, spettacolo con cui si è inaugurata al Sociale la stagione del CTB, è uno di quei personaggi a metà tra la commedia ed il dramma, riconducibile ai Tonino e Zanetto dei “due gemelli” o al Lelio de “Il bugiardo”, opere in cui alla farsa si assomma un’analisi del vizio nell’uomo e che a volte, vedi il finale dei “Due gemelli”, può avere dei risvolti da commedia nera. Per questo dunque è più che legittima una lettura in chiave “noir” di questi testi, e quindi anche le belle scenografie di stampo espressionista di Aldo Terlizzi che richiamano il “Caligari” di Wiene (nonostante si citi spesso Hogarth) e che presentano una Venezia buia e molto contrastata sia negli interni che negli esterni, oltre a creare forti suggestioni si possono ben sposare con la drammaturgia del Giocatore. Da ciò quindi si giustifica una lettura asciutta che poco concede a gags e macchiette, ma quando il risultato è quello di perdere anche i pochi spunti brillanti insiti nel testo (vedi la prima scena tra Florindo ed Arlecchino, letteralmente “buttata via”) allora qualcosa non funziona più.
La sensazione avuta nell’assistere a questo allestimento è stata che la sequela di sbadigli con cui si apre lo spettacolo si sia protratta sino al momento degli applausi, tanto la recitazione era spesso fiacca e priva di mordente.
A parte il Pantalone di Paolo Bessegato, molto attorale ma di sicura presa sul pubblico, ed ovviamente la Gandolfa di Franca Valeri che non sbaglia un tempo teatrale (ed allora viene da chiedersi come mai tutti quelli che la circondano non siano riusciti dopo un anno di turné ad imparare nulla da lei) gli altri personaggi o non escono dalla macchietta o passano quasi inosservati. Il Florindo di Urbano Barberini seppure plausibile nella scelta della caratterizzazione troppo spesso si infiacchisce a tal punto da rendere difficilmente comprensibile la sua dizione, La Rosaura di Paola di Bartolo non esce mai dallo stereotipo dell’innamorata goldoniana scialba e squittente, mentre Brighella ed Arlecchino si fanno notare per un improbabile accento veneto “all’amatriciana” che forse da Bologna in giù passa inosservato, ma dalle nostre parti, in prossimità della Serenissima suona decisamente stridente. Efficace il Pancrazio di Fabio Rusca, funzionali gli altri interpreti.
Alla fine pur condividendo le intenzioni della lettura di Patroni Griffi si resta con il dubbio che l’operazione sia stata costruita solo intorno alla Valeri trascurando qualsiasi lavoro sugli altri attori che, seppur bravi professionisti si sono dovuti ricucire in un modo o nell’altro i personaggi addosso perdendo spesso in efficacia.

Davide Cornacchione 30/10/04