Recensioni - Opera

BRESCIA: Jacques, ovvero l’ennesima faccia di Paolo Poli

Jacques il fatalista è uno dei testi più celebri ed allo stesso tempo più arguti di Denis Diderot, per non dire dell’intero illum...

Jacques il fatalista è uno dei testi più celebri ed allo stesso tempo più arguti di Denis Diderot, per non dire dell’intero illuminismo. Utilizzando una struttura narrativa a metà strada tra il romanzo e l’opera teatrale, il filosofo, avvalendosi di un impianto che rimanda spesso al coevo “Candido” cerca di risolvere la diatriba tra determinismo e libero arbitrio. Il tema infatti è l’eterna disputa tra chi ritiene che il destino dell’uomo sia stato scritto da un’entità superiore e chi invece considera l’essere umano completamente libero di poter disporre del proprio futuro.
Diderot non prende una posizione netta, nonostante il suo protagonista spesso e volentieri si serva dell’espressione “E’ tutto scritto lassù”, che peraltro viene il più delle volte pronunciata in senso marcatamente ironico.
Paolo Poli, si ispira a questo straordinario capolavoro per approntare il nuovo spettacolo per questa stagione e lo fa alla sua maniera, secondo uno schema ampiamente consolidato. Ignora infatti completamente qualsiasi componente filosofica e morale per dedicarsi al puro divertissement ispirato alle varie situazioni che compongono la storia, che vengono quindi presentate secondo una successione non sempre coerente di scenette intervallate da una serie di gustosi siparietti musicali. Il risultato è uno spettacolo che sicuramente può venire accusato di scarso approfondimento, ma chi ormai conosce lo stile del comico toscano sa benissimo a cosa va incontro, che però risulta estremamente godibile sia per la struttura estremamente briosa che gli viene conferita, sia per l’efficacia e la bravura di Poli, che riveste i panni di Jacques, della marchesa della Pommeraye e dell’abate licenzioso, coadiuvato dagli altri attori della sua compagnia che raramente in passato si sono mostrati tanto efficaci quanto in questo allestimento.
Per il resto lo spettacolo si dipana seguendo uno stile ormai consolidato: Poli grande mattatore che usa Jacques per dare l’ennesimo saggio della propria bravura di attore e di fine “dicitore” all’interno di una scena fissa con i mutevoli fondali disegnati da Lele Luzzati, peraltro molto belli, come altrettanto belli sono i costumi di Santuzza Calì, e circondato dai suoi ragazzi che partecipano con divertimento a questo riuscito e gustoso gioco, nonostante qualche piccolo intoppo, peraltro magistralmente risolto, dovuto allo scarso numero di repliche che hanno separato questa tappa bresciana dal debutto.
Al termine applausi calorosi, accompagnati dalle usuali poesie offerte come bis dal protagonista, da parte di un Teatro Sociale tutto esaurito: appropriato preludio di una stagione che si preannuncia caratterizzata da un grande afflusso di pubblico.
Va segnalato che in molti passaggi, soprattutto nella prima parte, Paolo Poli attinge alla magnifica riduzione teatrale che Milan Kundera trasse negli anni ’70 dal testo di Diderot. Da grande amante quale sono di quel piccolo gioiello di drammaturgia contemporanea approfitto di questo spazio per lanciare un appello affinché lo si possa riveder presto in scena.

Davide Cornacchione 16/11/2002