
Il Teatro Sociale di Brescia osa e con la messa in scena di Woyzeck, curata dal Teatro Stabile dell’Umbria e dalla Biennale di Ven...
Il Teatro Sociale di Brescia osa e con la messa in scena di Woyzeck, curata dal Teatro Stabile dell’Umbria e dalla Biennale di Venezia, azzecca uno degli spettacoli più interessanti e stimolanti di questa stagione.
Il Woyzeck di Büchner è un lavoro difficile da definire, scritto ai primi dell’ottocento da un autore giovanissimo, rivoluzionario febbricitante ed entusiasta, ma subito braccato dalla polizia, costretto a scrivere i suoi drammi da oscuri nascondigli, incalzato anche dalla morte che non gli impedirà però in pochissimi anni di diventare uno dei più grandi drammaturghi dell’ottocento. La modernità di Woyzeck è difatti sconvolgente, il testo sembra scritto pochi anni fa, consta di scene staccate, apparentemente montate senza un filo logico chiaro. Il soldato Woyzeck rappresenta il decalogo degli esseri inferiori, che dalla loro inferiorità assurgono a veri archetipi dell’umanità, le sue pulsioni diventano universali, mentre viene inseguito, braccato proprio come l’autore, dall’espressione del mondo cosiddetto civile, vestito di divise lucide, ma internamente marcio e putrefatto. Woyzeck è un’opera per il novecento e infatti sarà ripresa solo nel novecento da Max Reinhardt oltre a venir messa in musica da Alban Berg. Infatti completamente novecentesca è la figura del medico, che esegue degli esperimenti sul soldato Woyzeck, in virtù della sua palese, definita, conclamata inferiorità, lo usa come cavia da laboratorio con il bene placido della società che lo circonda. E’ proprio da personaggi come questi che si intravede, già agli inizi dell’ottocento, i germi che faranno esplodere tutte le tragedie delle guerre mondiali del secolo scorso.
Giorgio Barbiero Corsetti ha avuto il merito di affrontare il testo di Büchner senza mediazioni, senza preoccupazioni di fruibilità, ma anche senza eccedere sul lato dell’avanguardia casereccia a tutti i costi. Ne è nato uno spettacolo ricco di idee, ma con una linea stilistica definita, sobria, in cui la scenografia si risolve con delle semplici istallazioni metalliche, soluzioni probabilmente ispirate da messe in scena operistiche del lavoro. Uno spettacolo intenso e crudo, ottimamente recitato da un gruppo di attori affiatato come sarebbe normale pretendere di vedere in un teatro stabile ma che ormai sono sinceramente l’eccezione e non la regola.
Filippo Timi è un Woyzeck carnale e allucinato, ma anche capace di sprazzi lirici alternati ad una fisicità davvero prorompente. Il migliore della serata è sicuramente stato Nicola Alcozer che, oltre a impersonare vari altri ruoli, riusciva a dare al dottore la giusta dose di sadismo mascherato da perbenismo borghese e amore per la scienza che caratterizzerà tutte le aberrazioni mediche del novecento. Ottimi anche Ruggero Cara, un capitano volgare e crudele nella sua apparente bonarietà e Giovanni Franzoni, tamburmaggiore funzionale e Andres dai notevoli accenti lirici. Buona anche la Maria dalla accentuata fisicità di Lucia Mascino.
Uno spettacolo intenso e coinvolgente che purtroppo è stato accolto freddamente dallo scarso pubblico bresciano.
A. Manuelli
(20 Febbraio 2002)