Recensioni - Opera

Battiato compositore di opere liriche resterà?

Dall’opera Genesi di Franco Battiato:

[Voce tenore] La nascita non è un principio
[Voce baritono] La morte non è una fine

Franco Battiato credeva nella reincarnazione e nella trasmigrazione delle anime. Ma non era interessato a chi sarebbe stato nel futuro né a chi fosse stato nel passato, quanto piuttosto a chi era nel presente. Battiato ha lasciato molti orfani: un pubblico che negli anni si è formato culturalmente e si è emozionato ed arricchito intimamente con lui e insieme a lui. Forte è il desiderio di continuare ad esplorare il suo percorso artistico ed umano, un lungo viaggio che ha incontrato più volte anche la musica lirica, sacra e sinfonica.

Elenco delle opere colte di Franco Battiato:

  • Genesi – prima rappresentazione: Parma, Teatro Regio, aprile 1987
  • Gilgamesh – prima rappresentazione: Roma, Teatro dell'Opera, giugno 1992
  • Messa arcaica – prima rappresentazione: Assisi, Basilica superiore di San Francesco, ottobre 1993 (anteprima all’Aquila nella chiesa di San Bernardino)
  • Il cavaliere dell'intelletto – prima rappresentazione: Palermo, Cattedrale, settembre 1994 (non pubblicata discograficamente)
  • Campi magnetici – prima rappresentazione: Firenze, Teatro della Pergola, giugno 2000
  • Telesio – prima rappresentazione: Cosenza, Teatro Rendano, maggio 2011

Battiato ha avuto una capacità quasi unica di avvicinare un vasto pubblico di ogni età ad una musica e a un linguaggio complessi. La sua curiosità lo ha fatto sperimentare in ogni direzione. La sua personalità ha reso il pubblico altrettanto curioso. Curioso di comprendere ciò che sembrava incomprensibile e di seguire passo dopo passo il suo cammino artistico, ripercorrendolo a ritroso nel tempo fino agli anni della sperimentazione e anche fuori dall’ambito musicale. Battiato ha riempito i teatri e venduto molti dischi anche quando ha composto opere liriche, ma il pubblico non l’ha mai seguito per puro fanatismo o collezionismo, bensì perché era una fonte continua di arricchimento dell’anima.

La produzione musicale di Franco Battiato è scandita da un susseguirsi di periodi artistici diversi, talvolta opposti, da svolte repentine e da contaminazioni culturali. Battiato ha toccato vette nella musica leggera e ottenuto importanti riconoscimenti in quella colta, alternando periodi pop a periodi progressive rock, elettronico-sperimentali, d’avanguardia e lirico-sinfonici.
Questi ultimi, in realtà, hanno punteggiato tutta la sua produzione musicale fin dagli anni ’60-‘70. Nelle sue canzoni e nei suoi pezzi strumentali riecheggiano spesso madrigali medioevali, valzer di Strauss, echi di Beethoven, Stravinskij, Debussy… e vi fanno contrappunto o da sottofondo cori lirici, voci di soprano o di controtenore, quartetti d’archi e orchestre sinfoniche internazionali.
Il suo gioco di “collage” è però stato anche ambivalente, e quando ha scritto opere liriche si è cimentato nell’operazione contraria, inserendo nel contesto classico citazioni e strumentazioni provenienti da altri ambiti musicali (persino dal mondo arabo e orientale di cui Battiato è stato profondo cultore), fra cui l’orchestrazione elettronica e talune voci non impostate.
Il collage, giustamente, è stato per lui un gioco, di rimandi e citazioni, sia per quanto riguarda la componente musicale che quella testuale, ma non è mai stato fine a sé stesso o privo di originalità, in quanto sostenuto da un pensiero mistico-filosofico e da un tratto artistico unico (anche se non si può dire inimitabile, dato che richiami a Battiato sono presenti in molta produzione musicale italiana a partire dagli anni 2000).

Per poter analizzare la sua produzione lirico-sinfonica, ritengo sia necessario dare un quadro generale della poliedricità di questo autore e di alcuni dei suoi periodi artistici, perché anche nella capacità di contaminare con il suo stile mondi differenti sta la sua grandezza, e soprattutto una capacità, questa sì inimitabile, di conquistare intimamente un vasto pubblico, di cui Battiato è stato maestro e mentore.
Solo conoscendone il percorso e le numerose sfaccettature si può comprendere la specificità di questo artista e iniziare a riscoprire la sua produzione operistica, che, con la sua morte, potrebbe tornare nei teatri lirici, se i direttori artistici avessero il coraggio necessario per affiancare Franco Battiato ai grandi maestri del passato. Il che sarebbe anche un’operazione utile ad avvicinare nuovi spettatori, consci del fatto che Battiato ha sempre accostato sonorità classiche a sperimentali e ha saputo travasare la musica colta in quella popolare, e viceversa, come avveniva fino ai primi decenni del Novecento, quando il popolo accorreva nei teatri a sentire Verdi e Puccini e le canzonette ne riprendevano le melodie.

Come scrivevo all’inizio, la produzione di Franco Battiato è scandita da periodi artistici diversi e da svolte repentine. Ogni tot anni questo artista poliedrico amava cambiare genere. Non certo inseguendo il pubblico, perché – come ebbe a dire Lucio Dalla – lui il pubblico non lo inseguiva, ma si faceva inseguire. Quello che cambiava in Battiato era il suo focus di interesse, che in base ai cicli della sua stessa vita lo ha portato anche a dipingere ed esporre quadri, a dirigere film e documentari e a scrivere o pubblicare libri.
La parola stessa è stata più o meno determinante a seconda dei suoi periodi artistici. Talvolta è stata del tutto assente oppure la scrittura dei testi è stata affidata ad altri autori, ma sempre restando nella cifra emotiva che gli era connaturata. Con il filosofo Manlio Sgalambro ha vissuto un sodalizio artistico che ha dato vita ad alcuni capolavori della musica italiana, apprezzati anche all’estero per uno stile poetico ed esistenziale del tutto personale, e ai libretti di due opere liriche. Altri sodalizi determinanti nel suo percorso artistico sono stati quelli con Giorgio Gaber – che, all’inizio della sua carriera, lo ha avvicinato al teatro e alla musica di scena – o quelli con alcune grandi interpreti italiane, che sono riuscite ad aggiungere una visione femminile al suo “quadro” artistico (Alice, Giuni Russo e Milva, in particolare), oppure con musicisti virtuosi che hanno contribuito alla sua qualità di arrangiatore ed orchestratore (Giusto Pio, Alberto Radius, Antonio Ballista, Filippo Destrieri, Angelo Privitera…).

Ma determinante è stato l’incontro con il maestro dell’avanguardia Karlheinz Stockhausen, che ha dato il via alla sua terza fase artistica, quella avanguardista. Infatti, Battiato, dopo avere vissuto nella seconda metà degli anni Sessanta una prima breve vita come cantante romantico (gli anni in cui avrebbe cantato di tutto pur di guadagnarsi da vivere a Milano) e poi come cantante alternativo di protesta (un filone che lo porta nel 1967 alla prima apparizione televisiva e poi alla partecipazione al Festival di Sanremo come coautore con Giorgio Gaber del brano …e allora dai!) e dopo aver abbandonato il formato canzone nei primi anni Settanta per dedicarsi completamente alla sperimentazione strumentale elettronica, a metà anni Settanta si addentra in una fase avanguardista che si è fatta via via sempre più intellettuale ed intimista, portandolo ad aggiudicarsi nel 1978 il Premio Stockhausen con la sua composizione più criptica: L’Egitto prima delle sabbie, un brano strumentale “zen” di 14 minuti che consiste nella ripetizione di una medesima scala di note, dove varia solo la distanza tra le esecuzioni.
È a questo punto che la sperimentazione avanguardista “assoluta” definisce Battiato soprattutto per quello che non voleva più essere: da adesso in poi sarebbe stato uno sperimentatore sì, ma in un modo differente, fruibile dal grande pubblico.

“Dopo aver abbandonato l’ideologia chiusa dello sperimentatore”, Battiato fa la sua quarta svolta artistica, sempre in maniera assolutamente radicale e repentina, sconvolgendo la musica leggera italiana, dapprima con l’album capolavoro L’era del cinghiale bianco, che contiene anche un brano strumentale altissimo (Luna indiana, in cui echi di Beethoven fanno capolino in un album pop), ma soprattutto nel 1981 con l’album campione di incassi La voce del padrone, caratterizzato da cori lirici, ritmiche basilari, citazioni colte, orchestrazioni e pregevoli arrangiamenti per un album di musica leggera che voleva essere scientificamente dirompente. Battiato decise, infatti, “serenamente e freddamente di abbandonare la strada della sonorità pura per cercare un contatto, anche con la parola, con la grande platea”. Continuando con la citazione, egli ebbe a dire: “Non è vero che ho raggiunto il successo dopo 15 anni di duro lavoro. Non è esatto. Io l’ho raggiunto subito. Appena l’ho deciso”.
La seguente dichiarazione è un manifesto delle sue scelte artistiche successive al 1978 sia come autore pop che come musicista colto e autore di opere liriche, sacre e sinfoniche: “Avanguardia non è usare uno spazzolino da denti per suonare un violino… Ho diversi amici che sono rimasti vittime dell’ideologia e anch’io negli anni Settanta mi trovavo sotto l’influenza di quel pensiero… nel mio cosiddetto periodo sperimentale”.

Dopo gli anni del grande successo, proprio quando iniziava a diventare anche internazionale con alcune antologie in lingua inglese e spagnola, Battiato, con grande disappunto della EMI americana, rinuncia ad un trasferimento oltreoceano, perché sente “di dover fare una cosa diversa, di non poter più usare gli stessi meccanismi per arrivare alla gente”. Da tre anni stava lavorando al passaggio dalla musica pop colta alla musica “classica”. Lo sentiva quasi un imperativo morale, un veicolo di evoluzione interiore del pubblico: “Occorre impegnarsi con volontà contro il conformismo dominante. C’è oggi una frivolezza che diviene di giorno in giorno più preoccupante, un’insensatezza per molti versi ormai insopportabile. Ecco perché, in un lavoro come Genesi, lascio da parte il gioco e mi espongo come non ho mai fatto prima.

Nell’opera lirica Genesi, del 1987, c’è tutta la sua volontà di ricercare e la curiosità di un viaggiatore affascinato dalle liturgie extra occidentali. Nel Medio Oriente aveva approfondito un modo diverso di vivere la spiritualità e voleva raccontarlo in musica: “La mia opera ideale è un rito in tempo reale. L’opera diventa così una specie di seduta iniziatica.”. Una concezione introspettiva che ricorda il pensiero di Wagner e che in Battiato assume una dimensione ascetica: Genesiè un’opera che tende a una esperienza esoterica, non solo perché questo è l’argomento centrale del mio lavoro ma perché si affida all’ascolto come una vera e propria esperienza mistica”.
Battiato è perfettamente cosciente dei rimandi classici della sua prima opera lirica (Stravinskij, Debussy, il canto liturgico greco, i “ripetivi americani”) ma sa di avere un suo preciso stile e che il suo “mondo melodico è una cosa ben precisa”, qualsiasi cosa la sua musica ricordi e “da qualunque serbatoio segreto peschi” (spesso più dall’Oriente che dall’Occidente).
Le parti vocali evitano qualunque virtuosismo, “hanno una condotta lineare senza salti vocali innaturali, secondo un insegnamento che mi viene dalla musica leggera: non occorre strabiliare, ma raggiungere il risultato giusto relativamente al clima che si vuole creare: meglio non fare che fare a tutti i costi per essere moderni. Semmai di moderno nella mia partitura c’è la presenza imprescindibile dei suoni sintetici che per me sono il segnale della nostra epoca”. Battiato aveva in mente un progetto multimediale molto innovativo su libretto dello scrittore e mistico francese Henri Thomasson (vero nome di Tommaso Tramonti), allievo di uno dei grandi fari di Franco Battiato: il filosofo armeno Georges Gurdjieff.
Dopo alcune anteprime-studio a Roma, Trento e Parma (Festival Due Dimensioni del Teatro Due), quest’ultima città lo invita a rappresentare l’opera al Teatro Regio con i centoottanta componenti dell’Orchestra Sinfonica dell’Emilia-Romagna “Arturo Toscanini” diretta da Alessandro Nidi, sessantacinque coristi, due soprani, un tenore e un baritono. Per il pubblico fu un successo. La critica la accolse come un progetto troppo lontano dall’opera lirica e quindi non criticabile. Le vendite (due dischi contenuti in un elegante cofanetto bianco) supereranno di gran lunga quelle di qualsiasi altro disco di musica classica, tanto da far entrare in classifica, per la prima volta nella storia, un’opera lirica.

Gilgamesh, del 1992, fu un progetto ancor più ambizioso: A dirigere l’orchestra e il coro del Teatro dell’Opera di Roma, il Giovane Quartetto Italiano e l’Ensemble di fiati “I Virtuosi Italiani” chiamò l’amico Antonio Ballista. La reazione del pubblico ancora una volta fu calorosa. La critica questa volta prese posizioni contrastanti, ma questo fu positivo perché significava che Battiato iniziava ad essere preso in considerazione come autore classico. Nel 1993 la rivista “CD Classica” lo premierà come artista che, con Gilgamesh, ha venduto più dischi di musica classica contemporanea (dalla EMI riceverà anche un incredibile Disco d’oro per la medesima opera).

I suoi lavori successivi, Messa Arcaica e Il Cavaliere dell’intelletto, entrambi del 1994, furono replicati rispettivamente in molte chiese italiane, dal Duomo di Orvieto alla Chiesa di Santa Chiara a Napoli, e in molti teatri di tradizione: il Teatro Giovanni Battista Pergolesi di Jesi, il Teatro Rendano di Cosenza, il Teatro comunale di Modena, il Teatro municipale di Piacenza, il Teatro Regio di Parma e la Corte Malatestiana di Fano. Per la prima volta la sua musica “classica” andò in tournée e venne ripresa in nuovi allestimenti.

I suoi ultimi lavori saranno Campi Magnetici, accompagnamento musicale in sette movimenti, che ha debuttato nel 2000 su commissione del prestigioso “Maggio Musicale Fiorentino” e Telesio, del 2011, prima opera teatrale al mondo a essere presentata al pubblico mediante ologrammi, commissionatagli dal Comune di Cosenza. Il caloroso gradimento di questi ultimi lavori e i buoni commenti della critica, che ha parlato di “magia dello spettacolo cosmico” e di “commovente messa in scena dell’avventura della conoscenza”, hanno fatto sperare nella possibilità di intraprendere una tournée italiana ed europea, cosa che però non si è potuta realizzare per diversi motivi, fra cui una certa reticenza del mondo accademico nei confronti di un autore che non aveva abbandonato il pop e le grandi platee.

Al di là del valore artistico delle opere liriche di Franco Battiato e della loro replicabilità in assenza del loro autore (e talvolta regista), mi sento di poter affermare che il nostro è riuscito a comunicare ad un vasto pubblico anche scrivendo musica “classica”, evitando di infilarsi in quel tunnel oscuro in cui la musica colta è entrata da circa ottant’anni. Proprio per il fatto di aver abbandonato in maniera radicale l’avanguardia assoluta (ma non la sperimentazione e la ricerca), è stato fra i pochi autori che hanno cercato, con un certo successo e una forte originalità, di riannodare i fili che da troppi anni separano la musica classica contemporanea dai gusti del pubblico.
Uno dei rimproveri che Battiato ha costantemente fatto a quella che ha chiamato “ideologia dell’avanguardia a tutti i costi” è di non aver saputo costruire una lingua artistica socialmente percettibile, cioè comprensibile anche ai non addetti ai lavori. Per questo motivo “il loro è un linguaggio che non è riuscito a diventare linguaggio, quindi è morto”.

Franco Battiato credeva nella trasmigrazione delle anime. In qualche modo una parte della sua anima è trasmigrata nel suo pubblico ed è pronta per nuove reincarnazioni.