Protagonisti Angela Meade e Luciano Ganci
Lo spettacolo si apre in modo molto originale con un personaggio ispirato alla tematica Hikikomori: una impersonificazione immaginaria di Turandot, vista come una giovane insicura, chiusa nella sua camera, in simbiosi con il suo PC portatile. Una voce di sottofondo annuncia che la ragazza è rimasta chiusa nella sua stanza per diecimila anni ed introduce quindi questa tematica, intimamente legata al personaggio di Turandot. La giovane assisterà a tutta l’opera dalla sua postazione e talvolta il suo volto verrà proiettato nel retroscena, tra un video e l’altro. Il tema della solitudine si intreccia con il personaggio di Turandot, vista come triste ed isolata nel suo palazzo, in perenne lotta con i pretendenti che cercano di conquistarne la mano provando a risolvere i tre mortali indovinelli.
La rappresentazione è stata davvero molto coinvolgente, con interpreti di grande livello ed anche una valorizzazione importante del coro, che ha reso ancor più grandioso l'effetto scenico complessivo, quasi fosse la colonna sonora di un musical moderno. Gli interpreti sono stati di grande bravura. Angela Meade ha cantato una principessa Turandot eccezionale, con un’ampia gamma di sentimenti contrastanti, dall’ira, alla commiserazione, alla tristezza, alla passione, come nella bella romanza In questa reggia del secondo atto. Molto bravo anche Calaf, interpretato da Luciano Ganci. Si è guadagnato gli applausi a scena aperta del pubblico al termine della celebre Nessun dorma nel terzo atto. Si è distinto anche nella romanza del primo atto Non piangere Liù e nel Concertato finale del primo atto, particolarmente riuscito, nella sua complessità e nell'interazione dei vari personaggi. Divertenti i siparietti di Ping, Pong e Pang che hanno contribuito a spezzare la tensione del dramma. Spesso in scena con dei costumi molto spiritosi a forma di dischi da cui sporgeva la testa, le braccia e le gambe, quasi fossero icone di un videogame di altri tempi.
Molto bella anche la scena dei tre indovinelli, che ha davvero catturato il pubblico in un crescendo fino al fatidico indovinello che Calaf pone a Turandot sul mistero del proprio nome.
Una nota di encomio invece per Liù interpretata da Juliana Grigoryan. Davvero molto brava, sia nella romanza del primo atti Signore, ascolta!, che nel terzo atto, con la stupenda Tanto amore, segreto e inconfessato e Tu che di gel sei cinta. Seguita poi da Liù, Liù sorgi...Liù bontà, Liù dolcezza, aria di Timur, impersonato da Alessio Cacciamani. Ci ha regalato davvero momenti di intensa commozione.
Il Maestro Donato Renzetti ha eseguito la partitura e diretto gli interpreti in modo convincente e molto classico, quasi fosse un grande musical in senso moderno.
In questa rappresentazione della Turandot si è scelto di terminare l'opera dopo la morte di Liù, anziché utilizzare il classico finale attribuito a Franco Alfano (basato in ogni caso quasi completamente sul finale che Puccini stesso aveva già praticamente terminato, con la controversa scena del bacio che avrebbe trasformato Turandot per sempre). Una scelta in linea con il pensiero del compositore che aveva già espresso dubbi sul finale, proponendo la morte di Liù come una valida alternativa per l’ultima scena. Una scelta che ha lasciato una grande commozione nel pubblico.
Il progetto scenografico di Massimiliano e Doriana Fuksas colpisce immediatamente lo spettatore ancor prima dell’inizio dello spettacolo, essendo presentato a scena aperta nel meraviglioso contesto delle Terme di Caracalla. Si tratta di una astratta superficie bianca costituita da una concatenazione di poligoni che presenta un ampio spazio centrale per la scena e una muraglia semicircolare a delimitare lo spazio scenico sul fondo del palco. Dalla muraglia posteriore si vedono svettare i massicci pilastri che reggevano un tempo una parte della campata centrale delle Terme di Caracalla, molto suggestivi. Ogni superficie è stata utilizzata per proiettare con tecniche diverse video ed immagini con effetti scenici davvero molto belli ed interessanti. La regia ha puntato molto sulla dimensione dei videogiochi e dei media moderni, ad esempio presentando schede digitali dei vari personaggi con descrizione delle loro specifiche caratteristiche e la percentuale residua di vita, immaginarie chat con scambio di messaggi per rappresentare il propagarsi delle notizie tra il popolo, immagini ed animazioni astratte davvero molto efficaci. Hanno sicuramente aggiunto un contributo significativo alla rappresentazione.
I costumi di Giada Masi sono stati in linea con il tema moderno ispirato ai videogames (pensiamo ad esempio a Ping, Pong e Pang), ma anche alla dimensione favolistica della vicenda: il giallo mandarino che annuncia ai pechinesi la legge dei tre indovinelli, il costume di Liù ispirato alle geishe giapponesi, le tradizionali vesti dell’Imperatore Altoum e del vecchio Timur, il vestito di Calaf ispirato agli Shogun giapponesi. Un bel mix di stili diversi ma ben coordinati tra loro.
In conclusione, una bella rappresentazione che ha saputo conquistare il pubblico con le sue numerose virtù: la bravura degli interpreti, l’originalità delle scene e delle luci, la bellezza dei costumi e la scelta del finale che ha commosso il pubblico. Uno spettacolo promosso a pieni voti. Bravi, bravissimi!
L’ultimo melodramma di Puccini, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, è andato in scena con la direzione di Donato Renzetti, la regia di Francesco Micheli, progetto scenografico di Massimiliano e Doriana Fuksas, costumi di Giada Masi, luci di Alessandro Carletti. Angela Meade Turandot, Luciano Ganci Calaf, Juliana Grigoryan Liù, Piero Giuliacci l’Imperatore Altoum, Alessio Cacciamani Timur, Haris Andrianos Ping, Marcello Nardis Pong, Marco Miglietta Pang, Mattia Rossi un Mandarino. Coro e orchestra dell’Opera di Roma.