Al festival Donizetti la seconda versione dell'opera ambientata durante il conflitto serbo-bosniaco
Il Festival Donizetti 2024 presenta per l’ultimo anno del ciclo #donizetti200 Zoraida di Granata, andata in scena al teatro Argentina di Roma il 7 gennaio 1824 nella sua seconda versione che rispetto alla precedente (1822 sempre al teatro romano) si mostra maggiormente diversificata e drammaturgicamente meglio definita, ponendosi come importante biglietto da visita di un Donizetti in cui sempre più il teatro acquista spessore a scapito della più lineare delle convenzioni.
Alla chiave classica del triangolo amoroso di sfondo cavalleresco (ma con finale lieto, per una volta) si accosta infatti un lavoro sui caratteri che comincia quasi a tratteggiarne un mondo interiore definendone una sorta di psicologia, operazione che con la maturità troverà sempre maggior spazio nelle sue composizioni (si notino in particolare le romanze di Zoraida “Rose, che un dì spiegaste“ e Almuzir “Amarla tanto, amarla e perderla“ nel II atto).
In coproduzione con il Festival irlandese di Wexford Festival Opera (che nello scorso autunno ha presentato la prima versione dell’opera), ora questo melodramma approda nel magnetico spazio del teatro Sociale quasi nascosto nel cuore della città alta.
Il regista Bruno Ravella imposta un lavoro drammaturgicamente interessante nel suo essenziale e semplice simbolismo: scegliendo quale fil rouge il tema bellico sposta però il contesto temporale negli anni ‘90 ambientando la vicenda all’interno della biblioteca nazionale ed universitaria della Bosnia ed Erzegovina di Sarajevo (bombardata ed in seguito ricostruita) vista come iconico simbolo (attraverso la sua vetrata infranta e le cascate di fogli dalla graticcia) di una violenza che non cessa ad oggi di seminare morte e sbigottimento oltre che a soffocare la cultura quale pericoloso elemento di libertà di pensiero. Un’idea pulita ed essenziale che portata avanti con estrema coerenza raggiunge l’obiettivo dato anche attraverso l’impianto scenico ed i costumi realizzati da Gary McCann.
Sapientemente scelto il cast attivo in palcoscenico che in ogni suo elemento si è mostrato musicalmente attento e scenicamente convincente. Zuzana Markova quale Zoraida ha offerto una prestazione in crescita e attraverso la sua umbratile vocalità è giunta ad una definizione del suo personaggio tanto completa ed a tutto tondo quanto tratteggiata in ogni singola sfumatura con efficacia e misura.
Il personaggio di Abenamet (in questa seconda versione affidato en travesti ad un mezzosoprano) trovava in Cecilia Molinari un’interprete completa ed eccellente sotto ogni profilo: la vocalità scorre agile e sfaccettata e l’ottima tecnica permetteva all’artista di dominare le ardue agilità senza mai perdere pregnanza sotto il profilo espressivo. Assai bene, anche se con qualche durezza nell’emissione di troppo, Konu Kim che ha tratteggiato il personaggio di Almuzir anche attraverso un’acuta sensibilità scenica.
Disinvolti e misurati i solisti provenienti dalla Bottega Donizetti: Tuty Hernàndez (Almanzor), Lilla Takáks (Ines) e Valerio Morelli, un Alì molto distinto. Bene il Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala diretto da Salvo Sgrò.
Alberto Zanardi traeva il meglio dall’Orchestra Gli Originali, ben bilanciando tempi ed equilibri in questa partitura, che si pone davvero quale interessante oggetto di studio riguardo il percorso formativo donizettiano in cui i numerosi spunti ed influssi rossiniani cominciano a lasciare sempre più il passo al più autentico taglio compositivo del musicista.