Una convincente edizione del capolavoro wagneriano ha concluso le rappresentazioni nella sala del Bibiena prima dei restauri.
Tra gli innumerevoli titoli del repertorio operistico Lohengrin è quello più indissolubilmente legato al Teatro Comunale di Bologna. Qui infatti il 1° novembre 1871 ebbe luogo la prima italiana che coincise con la prima italiana assoluta di un’opera di Richard Wagner, dando il via ad uno degli innumerevoli campanilismi tanto cari al nostro paese, contrapponendo il verdiano Teatro alla Scala di Milano al wagneriano Comunale. Curiosa coincidenza ha voluto che fosse proprio una recita di Lohengrin a sancire il temporaneo commiato dalla sala del Bibiena che resterà chiusa per restauri per i prossimi quattro anni.
Partendo dalle memorie del compositore il regista Luigi De Angelis -autore anche di scene, luci e video mentre drammaturgia e costumi sono firmati da Chiara Lagani- immagina un Lohengrin onirico: in un bosco sulle rive di un fiume Richard Wagner, interpretato in scena dall’attore Andrea Argentieri, sogna l’intera vicenda ed in parte vi interagisce diventando colui che porterà in scena il giovane Gottfried nel finale, dopo averlo incontrato una prima volta durante il preludio. In questa visione si innesta anche una riflessione sul giudizio nei confronti di Elsa e sull’idea generale del processo, visto come un percorso labirintico senza via d'uscita, iconograficamente rappresentato nel primo e nel terzo atto da una sala ispirata al Processo di Norimberga al centro della quale è disegnato un labirinto che rimarrà per tutti e tre gli atti.
Al di là di queste speculazioni, non completamente intelligibili senza aver letto il programma di sala, la regia procede in modo tutto sommato convenzionale, non riuscendo ad imprimere dinamismo ad un’opera di per sé statica. I protagonisti sono delineati nella gestualità e nei rispettivi rapporti in modo abbastanza generico ed il coro conosce solo due modalità espressive: in piedi e seduto. Non mancano alcune suggestioni visive grazie alle videoproiezioni, soprattutto nel secondo atto, ma nel complesso gli intenti registici rimangono nell’ambito delle buone intenzioni; ad esempio sono pochissime ed appena accennate le interazioni con il succitato labirinto, la cui funzione rimane prettamente decorativa.
Più incisivo l’aspetto musicale grazie in primis all’ottima concertazione di Asher Fisch che, potendo contare su un’Orchestra del Teatro Comunale in forma eccellente, opta per una narrazione fluida ma attenta alle sonorità ed ai rapporti tra buca e palcoscenico, non perdendo mai di tensione.
Il ruolo del titolo era impersonato da Vincent Wolfsteiner, heldentenor dal timbro chiaro che, nonostante una certa disinvoltura nei passaggi declamati, non sempre ha convinto nel fraseggio, nel complesso generico. Più convincente l’Elsa di Martina Welschenbach, dotata di un solido registro centrale e, dopo qualche incertezza iniziale, anche di una buona salita all’acuto. Ottima la coppia degli antagonisti, ovvero Lucio Gallo, un Telramund incisivo sia vocalmente che scenicamente, e Ricarda Merbeth, una Ortrud dalla solida linea di canto e dalla grande presenza scenica. Nonostante il timbro si sia nel tempo opacizzato Albert Dohmen è stato un Enrico l’Uccellatore autorevole e di gran classe mentre apprezzabile è risultato l’Araldo di Lukas Zeman. Notevole anche la prova del Coro del Teatro Comunale affiancato dal Coro del Teatro Accademico Nazionale dell’Opera e balletto ucraino “Taras Shevchenko” rispettivamente diretti da Gea Garatti Ansini e Bogdan Plish.
Al termine il pubblico che esauriva il Teatro Comunale per l’ultima recita prima della chiusura ha tributato a tutti gli interpreti applausi convinti e ripetuti.